Coronavirus

Era segreto o solo uno studio? Qualcosa non torna sul piano anti-Covid

Dai verbali desecretati del Cts emergono alcune stranezze sul piano anti-Covid. Il piano esiste. Perché tenerlo riservato?

Era segreto o solo uno studio? Qualcosa non torna sul piano anti-Covid

C’è qualcosa che non quadra. E sebbene tutti assicurino che di segreti di Stato non ve ne sono, è ancora troppa la nebbia da diradare. Parliamo del fantomatico Piano di organizzazione della risposta dell’Italia in caso di epidemia. Un piano più volte citato nei verbali del Cts, commentato dai giornali, ma che Roberto Speranza e lo stesso Comitato ora derubricano a “studio”. Un mistero che sorge agli inizi di febbraio, che investe il ministero della Salute, l’Iss, lo Spallanzani, il Coparis. E che non ha ancora trovato conclusione.

Partiamo dal 21 aprile, il giorno in cui la sua esistenza viene svelata al grande pubblico. Andrea Urbani, dg del ministero della Salute, rilascia un’intervista choc al Corriere: “Già dal 20 gennaio - dice - avevamo pronto un piano secretato e quello abbiamo seguito”. Il piano contiene tre scenari drammatici e non viene divulgato per evitare di propagare il panico tra i cittadini. Poco dopo però Repubblica ne pubblica alcuni stralci, rivelandone il contenuto oggi confermato dal Corriere che ne mostra l'intero testo. All’interno si analizzano le disponibilità di terapie intensive, le strategie per reclutare il personale, i modelli per isolare e trasportare i contagiati, le modalità di sanificazione degli ambienti. Cifre, tabelle, numeri, indicazioni, fasi operative: un vero e proprio “piano di battaglia”. E infatti attorno a questo documento si scatena la bagarre politica: perché è stato tenuto segreto? E perché se era pronto già a gennaio l’Italia si è trovata comunque sguarnita di fronte al nemico?

Una settimana dopo, il 28 aprile, Speranza viene convocato dal Copasir per rendere conto di quanto emerso. Il ministro chiede al Cts quale sia la classificazione del misterioso documento, ma il Comitato risponde “picche”. Il coordinatore Agostino Miozzo assicura che il "Piano" in realtà non è da considerarsi tale, perché in realtà sarebbe solo “uno studio" che ipotizza "possibili differenti scenari” della diffusione del virus. Niente di più. La stessa versione verrà confermata più avanti a chi, attraverso un accesso agli atti, proverà a chiedere il famoso atto “choc” citato da Urbani nell'intervista. Innanzitutto dal ministero della Salute assicurano che non risale a gennaio, come detto dal dg, ma a febbraio. E poi ai cronisti viene mostrata un'analisi realizzata da un certo Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Si intitola Scenari di diffusione di 2019-NCoV in Italia e impatto sul servizio sanitario, in caso il virus non possa essere contenuto localmente. All’interno sono indicate due ipotesi (realizzate prima di Codogno) che prevedono 1 o 2 milioni di contagi, casi gravi che oscillano tra 200 e 400 mila unità e un fabbisogno di letti in terapia intensiva che variano tra i 60mila e i 120mila. Per il ministero questo "studio" sarebbe il famoso "Piano" perduto. Niente di segreto. Solo un banale qui pro quo. Ma è qui che sorgono alcuni dubbi.

Innanzitutto il “Piano” riportato da Rep ad aprile e oggi dal Corriere è diverso da quello di Merler. Non solo nei numeri, per come sono stati riportati dalla stampa (da una parte 600mila contagi, dall’altra 2 milioni). Ma anche nella sostanza. Nel secondo si parla solo di ipotesi, mentre il primo contiene anche azioni per contrastare la diffusione del virus. Insomma: quello di Merler è effettivamente uno “studio”, il “Piano” è invece sembra un’altra cosa. Esiste. Perché allora Speranza e Miozzo insistono a farlo passare per “lo studio di Merler”?

L’esistenza di due distinti documenti emerge anche da una più attenta lettura dei verbali desecretati. Il 12 febbraio il Cts dà mandato a un gruppo di esperti di “produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di Piano operativo di preparazione e risposta ai diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019-nCov”. Una cosa balza subito agli occhi: l'atto viene definito “piano” e non “studio”, come verrà poi derubricato. Ma è un'altra la vera stranezza: nel verbale viene spiegato che quello stesso giorno Merler è presente alla riunione del Cts proprio per presentare il suo elaborato. Domanda: come possono essere lo stesso documento, se lo “studio” di Merler era già pronto prima che il Cts chiedesse di redigere un “Piano”? Infatti quest'ultimo verrà approvato dal Cts solo il 2 marzo, 10 giorni dopo l'audizione di Merler.

Altro dettaglio. Il “Piano” torna alle attenzioni del Cts il 24 febbraio, quando viene messo a verbale che “il documento deve essere ancora completato”. Mancano infatti i dettagli relativi “all’allestimento delle rianimazioni”. Argomento centrale, che verrà “sottoposto ad esperti di settore per un parere”, e che sottintende l’esistenza di un progetto di reazione all’epidemia. Non solo di uno scenario. Certo all’interno ci saranno state anche ipotesi (drammatiche) sulla diffusione del morbo. Ed è per questo che il Cts chiede “massima cautela” per evitare “che i numeri arrivino alla stampa”. Secretazione che viene domandata più volte: il 2, il 4 e il 9 marzo. Ed è proprio il 9 che si consuma l'ultima stranezza. Nel verbale il Cts scrive di essersi dotato “da tempo” di un “Piano sanitario in risposta ad un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19” e di averlo seguito alla lettera per suggerire tutte le misure poi adottate dal governo. Eppure ufficialmente, come visto, l’approvazione definitiva era arrivata solo una settimana prima: cioè 10 giorni dopo Codogno e a "zone rosse" già effettuate.

Qualcosa, insomma, non torna.

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