Cronache

Estradizione dei 10 ex terroristi rossi. La Procura di Parigi ricorre sullo stop

Le motivazioni sul caso di Pietrostefani: "Età e stato di salute"

Estradizione dei 10 ex terroristi rossi. La Procura di Parigi ricorre sullo stop

Tutti salvi, ospiti per sempre della Francia della «dottrina Mitterrand»? Forse no. Per gli ex terroristi italiani graziati sei giorni fa dalla Corte d'appello di Parigi, che ha bloccato la richiesta di estradizione avanzata dal nostro governo, i rischi non sono ancora del tutto finiti. Ieri la Procura generale della capitale transalpina ha annunciato il suo ricorso contro la decisione. La parola passa alla Cassazione francese, per quello che - in un modo o nell'altro - dovrebbe essere davvero il capitolo finale di una vicenda che si trascina da quasi quarant'anni.

La settimana scorsa la Corte d'appello parigina aveva smentito la linea governativa, bloccando di fatto una consegna che era stata concordata nell'aprile dell'anno scorso dal presidente Emmanuel Macron con il premier italiano Mario Draghi. Uno schiaffo dei giudici alla politica, e forse anche l'ennesima prova dell'infatuazione che la Francia intellettuale sembra nutrire verso «rivoluzionari» come la brigatista Marina Petrella, che pure si sono macchiati di crimini sanguinosi. Ma ieri si apprende che a ostacolare la consegna dei dieci latitanti potrebbe essere stato anche il governo italiano, con una serie di omissioni nel dossier inviato a Parigi a sostegno della richiesta. Riferimenti normativi mancanti, incongruenze nelle leggi da applicare: a sostenerlo è la Corte d'appello, nelle motivazioni della sentenza. Certo, potrebbe essere una scusa, un appiglio per dire di no. Se invece le omissioni fossero reali, ci sarebbe da chiedere come sia possibile che il nutrito staff tecnico del ministero della Giustizia italiano abbia compiuto degli errori proprio nel dossier più delicato attualmente aperto a livello internazionale.

In ogni caso, anche di questo ora dovrà occuparsi la Cassazione francese. E dovrà farlo avendo sul tavolo non solo il ricorso del procuratore generale, appoggiato da William Juliè, avvocato del governo italiano, ma anche i controricorsi dei dieci «esuli». Ieri Irene Terrel, difensore di sette dei dieci, definisce il ricorso «lo stupefacente frutto di una pressione politica inammissibili». Sulla stessa linea il legale bolognese Alessandro Gamberini, difensore di Giorgio Pietrostefani, già capo del servizio d'ordine di Lotta Continua, mandante dell'omicidio del commissario Luigi Calabresi: «fa pensare che l'abbiano fatto anche perché c'è stata una grande spinta politica», riferimento a Macron che ha criticato apertamente la decisione.

Proprio su Pietrostefani ieri si apprendono alcuni dettagli delle motivazioni che avrebbero portato a bloccare la sua estradizione in Italia. Nei confronti dell'ex capo di Lc, che in Italia ha potuto assistere personalmente e a piede libero a tutte le udienze a suo carico, non si capiva come la Corte d'appello avesse riscontrato una violazione del principio europeo del giusto processo. A convincere i giudici a confermargli l'asilo in Francia sarebbero invece state soprattutto le preoccupazioni per il suo stato di salute: la sentenza parla di «conseguenze di eccezionale gravità» che la consegna all'Italia avrebbe «in particolare per la sua età e per il suo stato di salute».

Ora starà al governo italiano spiegare, se non lo ha già fatto, che in Italia a Pietrostefani se davvero - come pare effettivamente - è molto malato verrebbe consentito di curarsi fuori dal carcere.

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