La tragedia del Mottarone

Funivia, i primi soccorsi: "Mi è morto tra le braccia"

I verbali di dipendenti e vigili sul luogo dell'incidente "I corpi ovunque come in un campo di battaglia"

Funivia, i primi soccorsi: "Mi è morto tra le braccia"

Verbania. Ci sono attimi nella vita che rimangono impressi nella mente per sempre, con una precisione che ha dell'incredibile. Ed è anche sul ricordo di questi particolari che la Procura di Verbania punta per ricostruire la dinamica della strage della funivia Stresa-Mottarone, che ha ucciso 14 persone ed ha lasciato orfano un bimbo di 5 anni, unico sopravvissuto alla tragedia. In Procura, da quella maledetta domenica, sono sfilate - come persone informate sui fatti - i testimoni che si trovavano in quella zona. Escursionisti, turisti e soprattutto gli addetti all'impianto di risalita che quel giorno erano in servizio. Le loro considerazioni sono fondamentali, soprattutto se valutate in parallelo con i molti video e le fotografie che hanno immortalato gli istanti della tragedia. Particolare importanza per gli investigatori, è quello che ha messo a verbale, l'addetto della funivia che si trovava in quella che in gergo si chiama la «fossa di arrivo», che si è visto sfuggire dalle mani la cabinovia numero 3 che, dopo qualche attimo, si è trasformata in un groviglio di lamiere. Il testimone ascoltato dai carabinieri si chiama Pietro Tarizzo, da quasi 4 anni è stagionale presso l'impianto di Stresa-Mottarone. «Ho sentito - ha detto - un forte rumore netto di rottura. Così per impedire alle persone in attesa di avvicinarsi e mettermi in salvo, sono corso via. Ho schiacciato il pulsante che aziona il freno d'emergenza sulla fune traente che però non ha funzionato». Non ha funzionato - si scoprirà dopo poche ore - perché c'era il forchettone inserito che disattivava l'impianto frenante di sicurezza. Quello che Tarizzo ha raccontato agli inquirenti è certificato dal video della telecamera posizionata all'arrivo, che rende le sue parole ancora più forti e drammatiche. Le immagini, infatti riprendono gli ultimi istanti di vita dei passeggeri: ormai arrivati in cima, sono pronti a scendere e, fuori, l'addetto è già in posizione per aprire il portellone. Un gesto quasi automatico per Tarizzo, ma all'improvviso accade l'impensabile. La cabina arretra e anche lui torna indietro di corsa, si guarda attorno e si scansa, per la paura che il cavo strecciato gli finisca addosso. Attiva il freno ma è inutile. In quei pochi secondi concitati, si compie la tragedia. La cabinovia sobbalza e prosegue la sua corsa all'indietro fino ad arrivare ai rulli del pilone tre, che fanno da trampolino e la lanciano nel vuoto.

Pesanti come macigni anche le parole di Cristiano L'Altrella, volontario soccorritore e caposquadra del distaccamento dei Vigili del Fuoco di Stresa, primo ad arrivare sul luogo della tragedia. «Abbiamo trovato un campo di battaglia - ha raccontato - corpi di ragazzi, uomini e donne sparsi sul pendio della montagna. Dalla vetta siamo scesi seguendo la linea dei cavi, un pendio ripidissimo, circa dell'80 percento. Poi abbiamo visto la cabina rossa accartocciata: non dimenticherò mai quello che ho visto. Uno mi è morto tra le braccia».

Intanto dalla Procura si attendono nuovi avvisi di garanzia, anche per permettere agli indagati di nominare i periti per assistere gli accertamenti irripetibili che inizieranno domani.

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