Guerra in Israele

Gaza accerchiata. Bombe sui bunker

La città è assediata su tre lati. Israele ha fretta: maxi ordigni da 2.500 kg sopra i tunnel

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Venti chilometri di lunghezza per sei o sette di larghezza. Più che un campo di battaglia è un ring. O meglio una gabbia della morte. Lì dentro, e lì sotto, i militanti di Hamas asserragliati nei tunnel e nei centri di comando sotterranei fanno i conti con la potenza delle Gbu 72, le bombe anti bunker «made in Usa» capaci di penetrare sei metri di cemento armato e sbriciolare grazie ai 2.500 chili di esplosivo quanto si trova sotto e sopra. Ma nell'inferno di zone come il campo profughi di Jabalia neanche l'immunità dei soldati israeliani è garantita.

Per proteggere l'avanzata dei propri militari Tsahal puntava sul Namer, un trasporto truppe con il telaio e la blindatura dei tank Merkava. Quel blindato da tre milioni di dollari a mezzo doveva garantire un'incolumità quasi assoluta. Ma come in ogni guerra l'invulnerabilità del Namer è durata lo spazio di una battaglia. Martedì è bastato un missile anti carro Kornet russo per carbonizzare undici soldati della brigata Givati. E questo mentre altri cinque caduti portavano a 16 i morti israeliani della giornata di martedì. Un bilancio quasi minimale a fronte delle centinaia di militanti di Hamas e di civili palestinesi caduti sotto i colpi d'Israele. Ma in guerra le vite non hanno lo stesso peso. Sedici caduti in 24 ore sono un carico psicologico pesante per Israele. Soprattutto in vista di una guerra lunga mesi. Il primo ad ammetterlo è il ministro della Difesa Yoav Gallant. «I significativi risultati raggiunti nei violenti combattimenti affrontati nel profondo della Striscia comportano con nostro rammarico - scrive Gallant su X - un pesante tributo. La perdita di soldati nelle battaglie con i terroristi a Gaza sono un colpo duro e doloroso». Parole da cui emerge la preoccupazione per la tenuta di un'opinione pubblica già piegata dai 1.400 morti e dagli oltre 200 ostaggi del 7 ottobre. E tutto questo mentre la guerra è ancora all'inizio.

Nelle tre settimane precedenti Tsahal si è limitata a giocare al gatto e al topo confondendo Hamas con rapide sortite, ma senza arrivare a un massiccio e statico schieramento di truppe e mezzi. Ora quel preludio è finito. «Siamo alle porte di Gaza City» ha detto ieri il generale Itzik Cohen, comandante della 162esima divisione aggiungendo che le sue forze «sono ora nel profondo della Striscia». In pratica l'esercito israeliano stringe Gaza City da nord, centro e sud e punta ora a individuare le postazioni di Hamas e neutralizzare i suoi miliziani. Ma questo significa operare in un perimetro urbano disseminato di tunnel, cecchini e trappole esplosive. Una gabbia della morte in cui ogni squadra di carri o uomini può essere sorpresa da un pugno di militanti sbucati dal sottosuolo.

Per questo Israele punta innanzitutto sulle bombe anti bunker indispensabili per eliminare le strutture sotterranee di Hamas individuate durante le ricognizioni delle scorse tre settimane. La potenza delle testate e il conseguente sbriciolamento dei sotterranei determina un devastante effetto terremoto capace di far afflosciare su se stessi palazzi di una decina di piani. Questo, oltre a eliminare decine di militanti in un colpo solo, consente a Tsahal di svuotare, grazie all'effetto terrore interi settori cittadini e muovere in sicurezza mezzi e uomini tra macerie e case abbandonate. Ma in tutto questo anche le vite di Hamas e dei civili assumono un peso strategico (8.796 morti finora, 3.648 bambini). Soprattutto se a contarli sono le opinioni pubbliche occidentali e quelle arabe.

Per questo più aumentano i morti più si riducono i tempi d'Israele.

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