Guerra in Israele

"Gaza muore di fame". Pressing per la tregua

Sos Onu sulla Striscia. Il piano di 6 settimane per una pausa. Gli Usa pronti a riconoscere la Palestina

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Oggi un nuovo Gabinetto di guerra in Israele, ieri l'incontro di Benjamin Netanyahu con le famiglie di 18 ostaggi e la garanzia: «Stiamo facendo tutto il possibile per la loro liberazione». Nel frattempo il leader di Hamas, Ismail Haniyeh è approdato al Cairo per discutere i termini del possibile accordo con il capo dell'intelligence egiziana, Abbas Kamel. E dopodomani arriverà in Israele il segretario di Stato americano Antony Blinken, per la sua sesta visita dal 7 ottobre. C'è fermento e fiducia che la bozza di intesa per il ritorno dei 136 ostaggi - 109 vivi e 27 morti in mano ai fondamentalisti di Gaza - si trasformi in un accordo vero, che porti a una sospensione della guerra. I tempi sono incerti, le dichiarazioni pubbliche apparentemente inconciliabili, ma un alto funzionario israeliano ha confermato alla Nbc: ci sono «forti segnali» che la proposta - elaborata a Parigi con la mediazione di Cia, Mossad, Egitto e Qatar - andrà avanti.

Ogni giorno è prezioso e rischioso per i rapiti israeliani e per i civili di Gaza. «I palestinesi stanno morendo di fame. La popolazione è spinta sull'orlo del baratro e non è parte di questo conflitto», denuncia l'Oms, mentre la Striscia è ancora sotto pesanti bombardamenti e ospedali come al-Awda, nel nord, sotto attacco. «Gaza è diventata quasi inabitabile», insiste l'Unctad, la Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo, mentre l'Unrwa è nella bufera per la collaborazione di alcuni dipendenti alla strage del 7 ottobre. E l'Unicef denuncia un altro disastro: 19mila bambini orfani o soli, senza un adulto che si prenda cura di loro.

Ecco perché l'accordo deve arrivare. Per riportare a casa gli ostaggi e arginare la catastrofe umanitario. Ecco perché, anche dentro Israele, dopo le minacce dell'estrema destra a Netanyahu di lasciare il governo di fronte a un accordo «sconsiderato», il leader dell'opposizione Yair Lapid si dice invece disposto a unirsi all'esecutivo di emergenza, per sostituire l'ultranazionalista Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale. «Daremo al governo una rete di sicurezza per qualsiasi accordo che restituisca i rapiti alle loro case e alle loro famiglie», è l'impegno di Lapid, preso con i parenti degli ostaggi.

Sulla bozza, che ha avuto un via libera di massima da Israele, è stata dibattuta dal Gabinetto di guerra ma non ancora visionata dall'intero esecutivo, ieri il Washington Post ha fornito nuovi dettagli, mentre si attende la risposta di Hamas. La prima fase dell'accordo, un testo di circa due-tre pagine, prevederebbe sei settimane di pausa nei combattimenti e il rilascio di tutti gli ostaggi civili, in cambio di tre detenuti palestinesi per ogni rapito liberato. L'accordo prevederebbe anche il riposizionamento temporaneo delle truppe israeliane lontano dalle aree densamente popolate di Gaza e maggiori aiuti alla Striscia. Le «pause» successive arriverebbero con il rilascio dei soldati e la restituzione dei corpi degli ostaggi morti.

La speranza dei mediatori è che le proroghe portino alla fine della guerra. L'Amministrazione Biden sta valutando intanto il riconoscimento di uno Stato palestinese.

Secondo Axios, Blinken ha chiesto al dipartimento di Stato di studiare le opzioni politiche: dal riconoscimento bilaterale, che potrebbe essere copiato da altri Stati, a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che ammetta la Palestina tra gli Stati membri a pieno titolo.

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