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"Giustizia eco-mostro". L'ira di Vendola dopo la condanna

Un Nichi Vendola amareggiato per la condanna ricevuta, tre anni e mezzo per concussione aggravata sul caso dell'Ilva di Taranto, se la prende con la giustizia e rivendica le sue azioni

"Giustizia eco-mostro". L'ira di Vendola dopo la condanna

Nichi Vendola ha ricevuto una condanna di tre anni e mezzo, in primo grado, per concussione aggravata sul caso ambientale dell'Ilva di Taranto. Per i giudici ha esercitato pressioni sull'Arpa, l'agenzia pugliese per la protezione ambientale affinché riducesse il peso delle relazioni che si riferivano alle emissioni.

Proprio lui che, oltre ad essere stato Presidente della regione Puglia per ben 10 anni, ha fondato un partito, di cui è stato anche leader, come Sel che sta per Sinistra Ecologia e Libertà. Una formazione che dell'ambiente ha sempre fatto una sua bandiera.

Ora però il suo ex leader si ritrova una pesante condanna di tre anni e mezzo per concussione risalente a fatti accaduti quando l'Ilva di Taranto era proprietà dei fratelli Riva. Vendola, che dall'inizio del processo ha rinunciato a tutti i suoi incarichi politici, si è difeso in tribunale rinunciando anche, tanto era certo della sua innocenza, alla prescrizione.

Come viene riportato da La Stampa, Vendola afferma di essere indignato "perché siamo dinanzi ad uno scempio, un vero eco-mostro della giustizia penale. La mia concussione, siccome non è in alcun modo provata, viene definita "implicita". "Il mio concusso nega di essere mai stato minacciato ed è allora un favoreggiatore" - continua - "La prova che poi lui, il direttore dell'Arpa, abbia ammorbidito la sua condotta con il siderurgico? Non c'è, c'è invece prova del contrario. Ed è un dolore grandissimo perché per me era un fatto importante che la giustizia chiedesse contro ad un colosso del capitalismo italiano dei costi umani e ambientali pagati da un'intera città a quel "padrone del vapore".

Tutto questo nonostante intercettazioni in cui Vendola si complimenta ridendo con Archinnà, il responsabile delle relazioni esterne dell'Ilva, per lo "scatto felino" con cui ha strappato il microfono a un giornalista che incalzava con domande scomode ai fratelli Riva. Registrazione di cui Vendola precisa: "In verità di quella intercettazione non mi è stato mai chiesto nulla. Solo per pignoleria vorrei ricordare che il contesto di quella telefonata era da parte mia la richiesta duplice di ritirare 704 licenziamenti e di pagare loro le centraline per i monitoraggi, e da parte dei Riva era rappresentare che i limiti alle emissioni non erano immediatamente in vigore".

Vendola, inoltre, è convinto di aver solo raccolto l'eredità dei suoi predecessori: "Un secolo di inquinamento industriale, oltre mezzo secolo di siderurgia a Taranto sono finite addosso alle mie spalle, cioè della prima classe dirigente che non ha fatto finta di niente, che ha agito contro i veleni". E rivendica, su Repubblica: "Noi abbiamo fatto una vera rivoluzione sul piano paesaggistico e urbanistico, sul piano delle energie rinnovabili, sulla bonifica dei siti d'amianto. E anche sul capitolo del più grande siderurgico d'Europa. Quelli che hanno svenduto l'ambiente di Taranto e non solo, oggi stanno godendo".

Nonostante nel corso della sua carriera politica abbia più volte dichiarato che le sentenze si rispettano e basta, questa volta la pensa in maniera diversa: "Le sentenze ingiuste si appellano.

Questa non è solo ingiusta, è una barbarie".

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