Coronavirus

Il governo vuole un vaccino? 20 milioni solo per prenotarlo

L'offerta delle case farmaceutiche prima che scoppiasse la pandemia. Lo rivela l'ex sottosegretario Bartolazzi

Il governo vuole un vaccino? 20 milioni solo per prenotarlo

«Mi sono trovato un dossier sul tavolo». Che dossier? «Me lo aveva lasciato il ministro per chiedere un parere». Su cosa? «Dovevamo pagare 20 milioni di euro a due aziende farmaceutiche». Venti milioni? «Sì». Per avere che? «Il diritto di prelazione su un vaccino in caso di pandemia». Cioè per l'acquisto? «No, non per l'acquisto. Solo per il diritto di prelazione». Cioè 20 milioni per il diritto ad avere vaccini nell'eventualità di una pandemia? «Esatto». Senza sapere di che pandemia stiamo parlando, per altro? «Esatto». Dunque senza sapere di che vaccino stiamo parlando? «Esatto». Solo per il «diritto di comprare»? «Capisco il suo stupore. Era anche il mio». E che cosa ha detto al ministro? «Che con 20 milioni l'avremmo potuta costruire dal nulla una fabbrica di vaccini».

Armando Bartolazzi è un medico quotatissimo, esperto di tumori, attualmente all'ospedale Sant'Andrea di Roma, con un passato ad Harvard e al Karolinska Hospital di Stoccolma, una lunga lista di pubblicazioni scientifiche e di riconoscimenti internazionali. Nel giugno 2018 è stato chiamato dai Cinque Stelle a occuparsi di sanità. Doveva fare il ministro, poi ha lasciato spazio alla più «politica» Giulia Grillo e, da tecnico, si è accontentato del ruolo di sottosegretario. Ha sospeso un lavoro sicuro, una carriera, ha lasciato l'attività privata con relativi guadagni, nella speranza di poter cambiare qualcosa in quello che è stato il suo mondo da quando era bambino. Quasi si commuove a ricordarlo. Poi, con il nuovo governo, nel settembre 2019 l'hanno fatto fuori. Il tecnico non serviva più. Forse perché cambiare nella sanità italiana è davvero impossibile? Lo incontro all'ospedale Sant'Andrea di Roma, terzo piano sottoscala. Il suo ufficio è un bugigattolo. Lo condivide con un collega, che resta lì durante il nostro incontro. «Così ci fa da testimone».

L'ex sottosegretario ha due preoccupazioni. La politica che mette sempre le mani sulla salute degli italiani. E gli italiani che non si rendono conto della bomba che sta scoppiando dentro gli ospedali. «Io mi occupo di tumori da sempre, questo è il settore che conosco meglio» spiega. «Oggi per ogni malato di cancro ai polmoni spendiamo, con le terapie cosiddette innovative, l'equivalente di due Ferrari. Ma tra un po' le Ferrari diventeranno quattro. Fino a quando potremo permettercelo?». Mi mostra un calcolo: per curare con i farmaci più innovativi il 50 per cento dei malati in progressione con tumore ai polmoni, al colon, alla mammella e il 50 per cento delle persone colpite da melanoma, occorrerebbero 177 miliardi di euro. Molti più di tutto quello che spende la sanità italiana nel complesso (114 miliardi di euro). «Arriveremo al punto in cui si dirà: tu hai 40 anni, ti possiamo curare. Tu ne hai 41, troppo vecchio, non ti cureremo più». Ma poi, a proposito, con quelle case farmaceutiche che volevano venderci il diritto di prelazione sull'acquisto dei vaccini come è andata? «Be', sono stato bravo». E cioè? «Sono partito dal morbillo». Il morbillo? «Sì, in effetti noi abbiamo un problema con il morbillo». E allora? «Avremmo bisogno di vaccini monodose, per vaccinare gli adulti, almeno per il morbillo». Non ci sono? «No, sono stati ritirati dal mercato qualche anno fa per lasciare spazio solo alla trivalente». Perché conviene di più. «Eh già». Ma che c'entra il morbillo con la pandemia? «Be', io ho chiamato i rappresentanti di quelle due aziende farmaceutiche e ho detto loro che avevamo bisogno del vaccino monouso per il morbillo». E loro? «Hanno risposto che ci voleva tempo, otto o dieci mesi almeno, per via delle pratiche burocratiche necessarie per le autorizzazioni». Otto o dieci mesi per separare un vaccino che esiste già da altri due vaccini? «Esatto. E allora io ho detto: se ci vogliono dieci mesi per separare un vaccino già esistente da altri due, quanti ce ne vorranno in caso di pandemia per isolare il nuovo virus e produrre un vaccino nuovo funzionante?». Bella domanda. «Loro sono rimasti zitti». E lei? «Io ho detto: se tanto mi dà tanto, ci vogliono almeno due anni». Cioè noi paghiamo 20 milioni oggi, ma se poi scoppia la pandemia dobbiamo aspettare due anni per avere il vaccino. «Le pare? In due anni, se c'è una pandemia, facciamo tempo a morire tutti. E io devo pagare oggi 20 milioni di euro?». Scusi la curiosità: che le hanno risposto quelli delle case farmaceutiche? «Sono rimasti zitti». E lei? «Ho preso il dossier e l'ho fatto volare.

Venti milioni di euro risparmiati».

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