Politica estera

I tunnel e la guerra asimmetrica. Tel Aviv ha bisogno di più tempo

Lo Stato ebraico sa che non può esserci altro finale che la sconfitta dei terroristi. Ogni altra conclusione sarebbe una condanna a morte

I tunnel e la guerra asimmetrica. Tel Aviv ha bisogno di più tempo

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Israele non ha intenzione di tagliare corto la guerra lasciando in vita Hamas. Sinwar conta sulla crescita della tensione internazionale contro Israele, ben esemplificata dal comportamento dell'Onu, ma non è detto che funzioni. Gli Usa, migliori amici di Israele, ne hanno anche sempre ricevuto dei severi «no» ogni volta che cercando l'appeasement col mondo arabo hanno cercato di fermarlo. Ma fra Reagan e Begin, Rabin e Gerald Ford, Shamir e Bush, Golda Meier e Nixon, Obama e Bibi, le differenze di opinioni hanno spesso portato a fratture, poi ricomposte. Per ora gli Usa identificano il loro interesse con quello di Israele e dicono che solo Tel Aviv può decidere quando chiudere l'operazione, pur chiedendo di proteggere i civili. Ma la richiesta non tiene contro del livello a cui Hamas ha portato la guerra asimmetrica, con l'uso di tutte le strutture civili.

Una tregua è proibitiva a meno di qualche straordinaria novità sui rapiti, come uno scambio, che per ora Hamas però non mette sul tappeto. Ieri invece Hamas ha sparato una raffica di missili fino a Tel Aviv e ancora Sinwar non esce con le mani alzate. I suoi uomini però si sono arresi a centinaia, la sua casa è stata distrutta a Khan Younis. Nella battaglia ogni casa, scuola, moschea si dimostrano alla cattura un deposito d'armi. La guerra è galleria a galleria; ieri un altro rapito, Eitan Levy, è stato dichiarato caduto dentro Gaza, mentre si seguitano a perdere militari che combattono sul quel terreno impossibile pieno di volenterosi aiutanti di Hamas.

È difficile razionalizzare, se non per motivi di opportunismo, che il mondo voglia tagliare corto con la conseguenza di mantenere in vita un'organizzazione pericolosa per il mondo intero. Gli Stati Uniti di Biden nonostante si oppongano alle richieste internazionale di una tregua, vellicano l'elettorato e l'opinione pacifista internazionale con esclamazioni che però non contengono una dead line. L'ha confermato Jon Finer, membro del Consiglio di Sicurezza del governo al forum dell'Aspen a Washington: «Francamente se la guerra si fermasse oggi, Hamas seguiterebbe a essere una minaccia, e questa è la ragione per cui non chiediamo di forzare un cessate il fuoco». Per contenere l'opinione pubblica, gli Usa chiedono e ottengono da Israele di fornire più «aiuti umanitari». Inoltre Biden chiede in cambio del sostegno una promessa ad associare l'Anp di Abu Mazen al futuro di Gaza. È difficile accettare questa prospettiva mentre l'Anp tiene per Hamas all'80 per cento e seguita a pagare gli stipendi in carcere ai terroristi.

Israele sa di non potere concludere le operazioni belliche altro che con la sconfitta di Hamas, che ogni altra decisione sarebbe una condanna a morte. Vedere piangere Gadi Eizenkot, membro del gabinetto, ex capo di stato maggiore amato da tutta Israele, mentre seppelliva suo figlio Gal e gli prometteva di combattere fino in fondo questa guerra giusta per essere degno di lui, ha segnato ancora una volta la difficoltà psicologica e anche strategica in cui si svolge questa guerra: nessuno è più solo di chi seppellisce un figlio, e ormai Israele ne ha seppelliti quasi cento. Gal è caduto nel modo più temuto e più classico: un attacco con spari ed esplosioni da una galleria. L'esercito avanza dentro le basi dove si nascondono i terroristi, verso la caverna dove è rintanato Sinwar, cercando le grotte in cui sono rinchiusi gli ostaggi.

Un mezzo veloce per farlo, non è stato scoperto checchè ne dica il mondo.

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