Guerra in Israele

I volontari israeliani: "Hamas? Sono diavoli senza pietà"

I racconti di uomini e donne della Croce Rossa intervenuti il 7 ottobre. Tra sindromi post traumatiche e orrori indelebili

I volontari israeliani: "Hamas? Sono diavoli senza pietà"

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Le raffiche di colpi sparate a distanza ravvicinata, senza pietà: un folle tiro al bersaglio contro i civili inermi. L'insaziabile sete di violenza sfogata nelle esecuzioni a sangue freddo. Poi lo spettrale silenzio, spezzato solo da ulteriori scariche di proiettili.

Il 7 ottobre scorso i terroristi di Hamas hanno così perpetrato il loro piano di morte, mettendo a segno il grande massacro antisionista. A Sderot, nel distretto meridionale di Israele, le telecamere di videosorveglianza di un supermercato hanno ripreso uno dei tanti momenti della carneficina. Sei mesi dopo, riavvolgere il nastro dell'orrore è ancora più doloroso, soprattutto per chi ne è stato protagonista ed è sopravvissuto. Ophir Tor, ex comandante dei paracadutisti e oggi volontario del Magen David Adom (Mda) - la Croce Rossa israeliana - quel giorno stava per prendere servizio, quando si è trovato sotto il fuoco di Hamas. Riuscito a schivare i proiettili, è accorso in aiuto delle persone colpite che lo precedevano e seguivano in strada; così, ha salvato una madre con suo figlio e altri due uomini. Le immagini di videosorveglianza mostrano il suo gesto eroico.

«In quel momento ho agito per istinto di sopravvivenza, solo dopo sono riaffiorati i ricordi più atroci», racconta a il Giornale il paramedico 61enne, ancora visibilmente scosso. Nelle ore successive, Ophir continuò a soccorrere feriti e a recuperare cadaveri. «Ho visto corpi decapitati, seviziati, mutilati. Si sono accaniti contro bambini, donne e anziani. Pura disumanità. Questo è un comportamento psicotico che nessun soldato adotterebbe, perché anche la guerra ha delle regole», rimarca. E sui terroristi è lapidario: «Diavoli senza pietà». A sei mesi dalla strage, la testimonianza del paramedico mostra i segni di una sofferenza ancora viva. Mentre si racconta, l'ex ufficiale tira profondi sospiri e ha gli occhi lucidi: dopo il massacro, la sua quotidianità è segnata dagli strascichi di uno stress post traumatico che emergono all'improvviso. Anche per questo, le immagini provenienti dalle piazze antisioniste lo disorientano. «Questa guerra non l'ha iniziata Israele. Il mondo progressista occidentale non si rende conto che i terroristi islamici ora hanno aggredito noi ma presto, se non li fermiamo, saranno in Europa», scandisce, prendendosela con i cattivi maestri che «per ignoranza» fomentano l'odio antisemita anche nel nostro Paese.

Ma quella di Ophir Tor non è l'unica storia di coraggio nella Croce Rossa israeliana. La volontaria Shunit Dekel, ad esempio, la mattina del 7 ottobre si trovava in aeroporto in Polonia, quando una telefonata dei suoi figli le riferì dell'attacco. Atterrata in Israele, prese subito servizio e si ritrovò davanti alla carneficina compiuta da Hamas al Nova festival. «C'erano salme decapitate, alcune addirittura violentate e lasciate senza vestiti». E ancora adesso la minaccia non si è esaurita. «Ci addestriamo a nuove possibili aggressioni, anche simultanee», rivela a il Giornale Yoni Yagodovsky, Direttore delle Relazioni Internazionali di Magen David Adom.

La paura continua: dopo il 7 ottobre, nulla è più come prima.

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