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"Illusi di essere al centro di una comunità"

Lo psicologo della comunicazione: "Così si è perso il luogo reale dove potersi incontrare"

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Come eravamo prima di Facebook, come siamo diventati. A raccontare gli effetti di quello che era nato solo come un passatempo, è Giuseppe Riva, professore di Psicologia della comunicazione all'università Cattolica e direttore dello Human Technology lab.

Cosa è cambiato rispetto a 20 anni fa?

«Prima Facebook era uno strumento espressivo per raccontare noi stessi, ora è uno strumento relazionale. Lo usavamo come un diario condiviso, oggi è un vero e proprio organizzatore sociale. Siamo passati dall'essere all'esserci».

Cosa ci ha fatto perdere?

«Il luogo. Il darsi appuntamento, il guardarsi in faccia. All'inizio i social erano la nuova modalità per riorganizzare rimpatriate reali e per ritrovare i vecchi compagni. Ora hanno sostituito le uscite. Oppure le hanno cambiate: ogni uscita ha il suo selfie da postare, altrimenti è come se non fosse esistita».

Però, rispetto agli altri social, Facebook è meno un inno alla perfezione.

«Per i giovani su Tik Tok o Instagram i filtri sono fondamentali, gli adolescenti sono molto esposti e curano l'immagine. Chi frequenta ancora Facebook è più spensierato, meno in cerca della perfezione. Ma è anche una questione d'età. A 40-50 non bisogna più dimostrare di essere i migliori».

In questi anni di like, condivisioni, esposizione, rimessa a lucido delle nostre vite, è cambiato tutto. Anche le nostre ambizioni.

«Un tempo i modelli erano: il calciatore, l'attore, il medico. Professioni per cui era necessario darsi da fare e acquisire delle competenze. Oggi conta avere followers ed essere al centro, non serve essere bravi».

Al centro di cosa?

«Di una comunità. E sui social se ne creano di continuo, attorno a vari temi: la cucina, i cani, di tutto. Chi sa mettersi al centro di questi gruppi, ha un sacco di followers e fa un sacco di soldi. Anche senza saper fare nulla. Faccio un esempio: Pepo3393. Si è messo al centro della comunità dei grattatori».

E chi sono?

«I grattatori di Gratta e vinci. Quelli che non vincono in tabaccheria e vanno a guardare i video di questo Pepo che gratta bigliettini in cerca di fortuna. Di fatto questo signore non sa fare nulla di particolare ma 'ce l'ha fatta': ha radunato attorno a sé una comunità».

Quanto potrà durare tutto ciò?

«È un modello truccato. Pochi possono stare al centro. Se le persone cambiano interesse, Pepo resterà senza comunità.

I giovani rischiano di perdere l'occasione e accorgersi troppo tardi del valore dell'impegno e della preparazione».

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