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L'"estate militante" è un flop: gita in Svizzera per la Schlein

La segretaria del Pd è in difficoltà in Italia per i litigi interni. Spunta la due giorni tra Zurigo e Basilea

L'"estate militante" è un flop: gita in Svizzera per la Schlein

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L'«estate militante» si sposta in Svizzera. Sabato mattina Elly Schlein planerà a Zurigo, porterà il suo saluto ai «compagni del Partito socialista elvetico» al loro congresso, poi sarà a Basilea a presentare il proprio immancabile libro (un must ormai per politici arrembanti e per generali in disarmo che sperano di fare il salto dalla caserma ai più confortevoli seggi parlamentari). La gita svizzera di Schlein è anche un ritorno a casa: la segretaria dem è nata a Lugano. Ma al Nazareno viene presentata come lungimirante operazione elettorale: nella terra di Guglielmo Tell, si ricorda, vivono 350mila italiani con doppio passaporto (tipo il Passaporto Numero Uno, alias l'ingegner Carlo De Benedetti), e la sortita di Elly serve a sedurli in vista del voto europeo.

I risultati dell'Opa sugli svizzeri si valuteranno nell'urna. Intanto, con l'avvicinarsi di settembre, si cominciano a fare i conti dell'«estate militante» lanciata dalla leader dem. E quei conti non tornano. Di «militante» si è visto poco, a parte il concertino alla Festa dell'Unità di Castiglione del Lago, con Schlein alla chitarra elettrica. E ovviamente le firme sulla petizione pro-salario minimo: la segretaria ha annunciato due giorni fa il raggiungimento delle 300mila firme, e a cavallo di Ferragosto il tema - grazie all'incontro tra le opposizioni e la premier e alla campagna di sottoscrizioni online - ha effettivamente tenuto banco per qualche giorno sui media. Una iniziativa azzeccata dal punto di vista della propaganda, che ha trovato un buon riscontro nei sondaggi e costretto il governo a venire allo scoperto, per cercare di arginare la campagna delle opposizioni. Ma di militante, nella raccolta di adesioni via piattaforma internet grillina (con tutto il contorno di polemiche sulle solite firme di Paperino e di Batman) si è visto poco. E appena l'attenzione è calata, anche la campagna si è arenata. «Il problema è che siamo sempre all'inseguimento, ma senza segnare un gol: a parte qualche settimana di centralità sul salario minimo, il Pd non è mai riuscito ad imporre un'agenda politica», constata un dirigente dem critico. Neppure sui temi che più mettono in concreta difficoltà l'esecutivo, a cominciare dall'immigrazione. Su cui il Pd è, specularmente, in contraddizione quanto la maggioranza. E infatti, mentre gli amministratori Pd protestano contro gli arrivi incontrollati, la leader Pd parla d'altro e accusa il governo «disumano» di «creare il reato di solidarietà» a danno delle Ong, con immediata replica di Meloni sulla necessità di opporsi a chi «favorisce la tratta di esseri umani».

In realtà, il Pd è in difficoltà ad attaccare il governo, ora che il centrodestra non blocca i porti, collabora con le Ong e col decreto flussi apre le porte a centinaia di migliaia di lavoratori stranieri. Quanto alla veemente polemica contro il pamphlettino del general Vannacci, la sinistra ha capito tardi di essere caduta con tutte le scarpe nella trappola: le sdegnate denunce contro le anticipazioni sapientemente fornite («La Costituzione non mette tutte le opinioni sullo stesso piano», se ne è uscita Elly) sono servite solo a far gran pubblicità - gratuita - ad un testo che altrimenti sarebbe passato del tutto inosservato.

Per non parlare della «tassa sulle banche» annunciata da Meloni, che il Pd ha subito rivendicato come farina del suo sacco, avallando inopinatamente la mossa propagandistica della premier: un capolavoro.

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