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L'apertura di Mattarella: andare al voto non è tabù

Dopo la sentenza cade il veto del capo dello Stato ma nel Pd è guerra sulle urne. Grasso: niente fretta

L'apertura di Mattarella: andare al voto non è tabù

La Corte costituzionale rimescola le carte nel centrosinistra, facendo riemergere contraddizioni e lacerazioni, ben nascoste dall'equilibrio del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. La parziale bocciatura dell'Italicum è accolta da Matteo Renzi quasi come un trionfo: l'ex sindaco di Firenze vede le urne vicine, anche perché i giudici chiariscono come la legge elettorale, riformulata secondo le indicazioni della Consulta, sia immediatamente applicabile. I sistemi di voto per Camera e Senato non sono omogenei: per Palazzo Madama vige un proporzionale puro (Consultellum), un proporzionale (Italicum corretto) con premio di maggioranza alla Camera dei Deputati. Non è un problema per l'ex capo dell'esecutivo Renzi che vuole portare a tutti i costi il Paese al voto. E soprattutto prima che si apra nel Pd la stagione congressuale dove Michele Emiliano potrebbe strappargli la leadership.

La prima condizione posta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al governo Gentiloni è stata quella di dotare l'Italia di un sistema elettorale identico per Camera e Senato che garantisca governabilità e maggioranze chiare. Un messaggio che l'inquilino del Colle ha riconsegnato alle forze politiche anche nel discorso di fine anno. Un ostacolo che però, all'indomani della sentenza della Corte, non appare più insormontabile per il capo dello Stato. Il ricorso alle elezioni anticipate - secondo quanto scrive l'Huffington Post non è più un tabù per il Colle. L'apertura di Mattarella fa sentire Renzi già in campagna elettorale: i fedelissimi dell'ex sindaco di Firenze fanno trapelare anche una possibile data (11 giugno) del voto. Ipotesi definita «ottusa» da Francesco Boccia, parlamentare del Pd e presidente della commissione Bilancio, sul blog dell'Huffington Post.

Nello scontro si infila anche il presidente del Senato Pietro Grasso. «Sui sistemi elettorali di Senato e Camera sappiamo quello che è rimasto dagli interventi della Corte Costituzionale sulle due leggi elettorali. Questo comporta che ci sono parecchie differenze di cui bisogna prendere atto anche se per definizione uno Stato non può restare senza legge elettorale» dice Grasso commentando con i giornalisti a Palazzo Madama la sentenza della Consulta. Per la seconda carica dello Stato «bisogna sedersi attorno a un tavolo, trovare le soluzioni che la politica dovrà mettere insieme per ridurre tutte le differenze che determinano la probabilità di maggioranze non uguali, non omogenee. Il Parlamento, i gruppi, i partiti devono fare in modo di superare le differenze: si può fare in un giorno, in una settimana, nel tempo necessario per trovare una condivisione».

Una condivisione che ad oggi manca nel Pd: l'ala bersaniana boccia l'idea delle elezioni in assenza di una legge elettorale omogenea mentre Massimo D'Alema riunirà il 28 gennaio a Roma i comitati del No al referendum per riprendere l'ascia di guerra contro Renzi. A sinistra si apre fronte di lotta della Cgil.

Susanna Camusso chiede di votare ma per il referendum sul Jobs Act auspicando, invece, per il Parlamento una legge elettorale unica per Camera e Senato.

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