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L'economia non aspetta chi è troppo timido

Gli ultimi dati Istat sull'andamento dell'economia continuano a essere drammatici e, anche alla luce di tutto questo, è difficile esprimere un giudizio positivo sul bilancio, che appare prigioniero di un passato che non passa.

L'economia non aspetta chi è troppo timido

Gli ultimi dati Istat sull'andamento dell'economia continuano a essere drammatici e, anche alla luce di tutto questo, è difficile esprimere un giudizio positivo sul bilancio, che appare prigioniero di un passato che non passa. Attorno alle voci delle entrate e delle uscite che compongono l'insieme dei conti pubblici è ormai cresciuta una tale selva di interessi (più o meno parassitari) che bloccano ogni cambiamento.

A dispetto del fatto che il 2021 fu ancora un anno segnato da pesanti misure pandemiche, viene stimato che a ottobre il fatturato industriale sia diminuito dell'0,8%, perdendo terreno sia sul mercato interno, sia su quello estero. L'economia produttiva, insomma, segna il passo e non è ragionevole essere ottimisti.

È positivo che entro certi limiti il governo abbia contenuto la spesa, al punto che il disavanzo è del 4,5% e senza gli interessi sul debito sarebbe dello 0,4%, ma questo è davvero troppo poco per risvegliare un sistema produttivo che non è ancora tornato ai livelli di 15 anni fa: prima della crisi finanziaria. Bisognerebbe avere il coraggio d'intervenire davvero sulle troppe voci di spesa che danneggiano l'economia, invece che aiutarla, dato che stimolano comportamenti antieconomici e sottraggono risorse a chi le ha prodotte per consegnarle ad altri.

Le indicazioni che vengono dal mondo del lavoro dovrebbero anche farci capire quanto l'economia non sia governabile, ed è bene che non lo sia. La stessa scelta di destinare larga parte del bilancio ad alleviare le conseguenze dei prezzi dell'energia appare discutibile, specie dove abbiamo misure molto discrezionali e dettate dal desiderio di non spiacere ai gruppi di pressione.

Anche per quello che riguarda previdenza e assistenza non c'è una linea del tutto coerente. Preannunciare che il reddito di cittadinanza sarà soppresso (sempre che alle parole seguano i fatti) va bene, ma si fa fatica a comprendere come tutto ciò si sposi con il proposito di portare a mille euro la pensione minima. Se il primo è stato contestato soprattutto perché ha fatto crescere il lavoro nero, non è ragionevole pensare che la stessa cosa succederà con pensioni sociali a quel livello?

I dati sull'economia reale quella delle imprese che stanno sul mercato dovrebbe indurre il governo a ritrarsi quanto più è possibile, iniziando davvero ad abbassare il prelievo fiscale e a disboscare la normativa che intralcia le attività economiche. Non abbiamo tanto bisogno di slogan a base di meno Stato e più mercato, ma invece di iniziative puntuali che inizino a mettere in discussione troppe rendite di posizione.

Purtroppo anche il governo Meloni sembra muoversi secondo linee d'azione contraddittorie: talvolta (come nel caso dei servizi pubblici locali) iniziando ad aprire i mercati, ma in altre circostanze rimanendo prigioniero dei ricatti avanzati da chi è stato premiato dai governi precedenti.

Nessuna rivoluzione è facile: questa non mi pare che sia neppure iniziata.

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