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Leo: "Sullo scambio Mes-Patto sarà il Parlamento a decidere"

Il "do ut des" del viceministro: ok al salva-Stati se passa la proposta italiana di escludere gli investimenti dal deficit

Il viceministro Maurizio Leo
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«Il dibattito parlamentare dovrà fare luce su un possibile recepimento del Mes. Si discuterà di questo e si vedrà se potrà essere la merce di scambio per la rivisitazione del Patto di stabilità». Il viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, ieri alla Festa di Italia Viva ha strappato il velo di Maya e ha ammesso chiaramente che l'obiettivo dell'Italia è negoziare regole meno draconiane per il Patto di Stabilità dando via libera alla ratifica del nuovo trattato sul Fondo salva-Stati. Il più classico dei do ut des che, tuttavia, fino a ieri si era cercato di celare.

D'altronde, anche il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, dal palco di Pontida ha ribadito che l'obiettivo del governo è «che il Patto di stabilità escluda dal conteggio gli investimenti». Come ha spiegato Leo, occorre «vedere se alcune materie strategiche, come infrastrutture e Pnrr, possono essere tenuti fuori dal meccanismo del rapporto deficit/Pil. Secondo il viceministro, «questa è la vera battaglia su cui dobbiamo confrontarci con l'Unione europea».

Lo scambio, a differenza di quanto predicato da Jean Baudrillard, è tutt'altro che «simbolico» perché dalla Nadef emergerà comunque un quadro congiunturale 2024 meno favorevole visto che «già rispetto alle previsioni di crescita precedenti, all'1,1-1,2%, la Commissione ha un po' ridimensionato».

Al momento, quindi, uno solo è l'obiettivo che il governo si è prefissato: confermare anche nel 2024 il taglio del cuneo fiscale. Una «priorità assoluta», ha confermato il premier Giorgia Meloni ieri a «Dritto e rovescio» su Rete 4. «Voglio confermarlo per tutto il 2024. E se riesco, voglio fare qualcosa di più per combattere l'inflazione, il caro prezzi e difendere il potere d'acquisto dei cittadini e dei lavoratori», ha aggiunto. Il viceministro Leo, tuttavia, ha sollevato un'altra questione di non secondaria importanza. «Se do più soldi, poi però vengono mangiati dal 23% della prima aliquota Irpef: allora devo aumentare anche la soglia del primo scaglione di reddito, che arriva fino a 15mila euro di reddito, altrimenti quello che gli do in parte me lo riprendo». Un'operazione difficile ma che si vuole comunque tentare.

Un'altra problematica non di secondo piano è rappresentata dal reperimento di maggiori risorse per finanziare l'abbassamento della pressione fiscale. «Con grande equilibrio, con grande coraggio siamo chiamati a prendere decisioni complicate che a qualcuno daranno fastidio, lo abbiamo fatto con il superbonus, con una tassa con gli extraprofitti delle banche», ha evidenziato ieri Giorgetti, in pratica preannunciando che l'esecutivo non si periterà di incomodare alcune categorie che hanno tratto vantaggio da un trattamento favorevole o dalla congiuntura stessa. Ed è stato Leo a confermare in qualche modo che il prossimo target saranno i colossi del web. «Dobbiamo tassare le multinazionali con la Global minimum tax e dal primo gennaio dovranno pagare le tasse in Italia», ha sottolineato ieri Leo spiegando che «questo meccanismo porterà poi alla riduzione dell'aliquota anche per le società, però finalizzata a due cose: agli investimenti in innovazione, da cui deriva la produttività e a creare occupazione». Non a caso il ministero dell'Economia ha avviato la consultazione pubblica sul dlgs con il quale ci si propone di tassare al 15% le multinazionali che in Italia realizzano almeno 750 milioni di ricavi. Il gettito stimato è almeno di 3 miliardi di euro, ma si spera di introitarne molti di più.

Le difficoltà della manovra nascono anche dalla pesante eredità del passato ben descritta dalla premier Giorgia Meloni. Il Superbonus «ha creato un buco di 140 miliardi di euro» assieme agli altri sussidi edilizi «inventati dai vari governi di Giuseppe Conte che li ha usati per fare gratuitamente campagna elettorale», ha ribadito il presidente del Consiglio rimarcando che «li ha pagati qualsiasi italiano, per 2.

000 euro, anche chi non ha una casa, chi prendeva il reddito di cittadinanza, perfino i neonati».

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