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L'eterna impunità delle borseggiatrici del metrò: "Non ci arrestano nemmeno più"

Da Milano a Roma, così le donne con bambini rubano indisturbate

L'eterna impunità delle borseggiatrici del metrò: "Non ci arrestano nemmeno più"

C'è la gogna, non c'è la pena. Forse, in un paese normale si dovrebbe capovolgere il meccanismo, ma la gente che affolla la Stazione Centrale filma le borseggiatrici cariche di banconote e di figli. Quei bambini sono l'assicurazione contro il carcere e i video sono la risposta esasperata dell'opinione pubblica che rivede le stesse ladre di portafogli in azione sugli stessi marciapiedi dove erano state fermate magari qualche ora prima. La consigliera comunale di Milano Monica Romano, del Pd, è scesa in campo per difendere la privacy delle «ladre» ed è scoppiato il finimondo.

«Quelle immagini dovrebbero essere consegnate alle forze dell'ordine - spiega al Giornale Valerio de Gioia, magistrato al tribunale di Roma e autore di molti libri - perché spesso offrono dettagli utili all'identificazione di chi ha commesso quello scippo. Se invece servono solo per alimentare la rabbia dei cittadini in rete, allora è giusto bloccarne la circolazione».

Meno gogna, ma pena certa. E invece giornali e programmi tv, come Striscia la notizia, raccontano ogni giorno lo scacco, anzi l'umiliazione dello Stato, delle istituzioni, della comunità che subiscono la piaga dei borseggi quasi sotto l'occhio dei militari e delle telecamere che riprendono il degrado a due passi dei grattacieli scintillanti. A Milano, ma naturalmente anche in altre città.

È sconvolgente la risposta che dà una «professionista» del settore, nata in Bosnia 29 anni fa e con uno scudo di 9 figli contro gli arresti: «Con un bimbo appena nato? Non corro nessun rischio. Non mi portano nemmeno più nemmeno in caserma».

Nessun problema, quindi, ma una sorta di impunità guadagnata mettendo al mondo uno squadrone di bambini. «Prima - prosegue lei - ci finivo anche più volte al giorno, sempre rilasciata perché incinta o in quanto madre di neonati».

Come prescrive il codice che mette la donna al riparo della legge se in gravidanza o madre di un minore fino a sei anni di età.

Così, Ana, nome di fantasia di una ragazza, descrive l'evoluzione del suo rapporto con la legge sotto il cielo della capitale morale italiana: nessuno la disturba più e lei porta a casa anche 500 o addirittura 1000 euro al giorno, tutti frutto del suo disonesto lavoro fra i binari e i sotterranei della metropolitana.

Possibile che non si possa fare nulla davanti a un tale scempio della legge? In sostanza, siamo davanti all'abdicazione della giustizia nei confronti di un'industria seriale del crimine. «Ma le cose - spiega de Gioia - non stanno esattamente così. Il codice dice che queste signore possono essere arrestate e tenute in carcere se sussistono ragioni di eccezionale rilevanza. E mi pare che questa sia proprio una situazione di eccezionale rilevanza».

Torna in mente il film «Ieri, oggi e domani» del 1963 con Sophia Loren, contrabbandiera incinta per schivare la cella. «Tutti abbiamo visto quella pellicola - aggiunge de Gioia - certo il tema è suggestivo, va affrontato con umanità ma anche senza rinunciare a tutelare chi cammina per le strade delle nostre metropoli. Dunque, in certi contesti io ritengo che ci siano le condizioni per mandare in cella chi ha colpito decine di volte. Aggiungo che se il soggetto in questione vive in un campo, in una roulotte, il carcere per quanto doloroso diventa l'unica soluzione, perché gli arresti domiciliari non sono praticabili».

Qualche rara volta il giudice sposa la linea dura e utilizza l'eccezione. Ma le cronache descrivono invece lo stillicidio quotidiano delle borseggiatrici che si muovono come se fossero in fabbrica. Con una routine criminale che sconcerta e disorienta.

E come se non bastasse, alle ladre madri si aggiungono quelle minorenni, pure tutelate dalla norma, e il gioco delle identità, degli alias, che aggiungono difficoltà e altri ostacoli sul cammino già arduo degli investigatori frustrati.

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