Guerra in Ucraina

L'Ue prova ad aprire le porte a Kiev. Ma Orbán prosegue il boicottaggio

Nemmeno i faccia a faccia diretti con gli ucraini riescono a sbloccare l'ostracismo di Budapest: "Corrotti, non accettabili ricatti o pressioni"

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Se l'Ue non apre all'adesione dell'Ucraina «sarà un errore devastante». A recapitare il messaggio, ieri al vertice dei ministri degli Esteri europei, è stato il capo-diplomazia di Kiev, Dmytro Kuleba, per cui l'esito negativo dei negoziati sarebbe «altamente demotivante». La determinazione dei gialloblù resterebbe intatta, ha chiarito Kuleba ai 27, e un diniego non avrebbe impatto sul voler «difendere il nostro Paese». Insomma, indietro non si torna. Né per Kiev, né per la maggior parte dei ministri Ue. Il tavolo degli ambasciatori Coreper lavora senza sosta in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì, dove si conteranno i voti e si dovranno stanare le intenzioni reali dei capi di Stato e di governo; in ostaggio del veto di Orbán, che blocca 50 miliardi di fondi per Kiev. Una posizione «deplorevole», per la ministra finlandese Elina Valtonen, dopo l'ennesima richiesta ungherese di cancellare dall'agenda tutti i punti su Kiev. «Mi auguro che da parte ungherese si possa compiere un passo in avanti dopo la decisione ucraina di garantire libertà di insegnamento e rispetto della lingua», ha spiegato il titolare della Farnesina Tajani, riferendosi ai diritti chiesti (e ottenuti) per la minoranza ungherese in Ucraina.

Le divisioni Ue sono oggi più che mai alla luce del sole. Per l'Alto rappresentante per la Politica estera Borrell non è il momento di indebolire il supporto a Kiev: «Anzi aumentarlo». Ma Orbán in ogni sede prova a boicottare il percorso Ue dell'Ucraina, «nota per essere uno dei paesi più corrotti al mondo». Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjártó, gli ha fatto eco ieri: «No a pressioni o ricatti». Un vis-à-vis in serata con Kuleba ha però avvicinato i due ministri: «Abbiamo fatto i compiti a casa e ora ci aspettiamo che l'Ue rispetti gli impegni», la risposta di Kuleba. Intanto, aiuti alla popolazione. La Svezia con un pacchetto da 124 milioni di euro. «Il più grande sostegno finora erogato». Si procede però in ordine sparso, bilateralmente.

È intervenuta anche Giorgia Meloni: «Giusto continuare a sostenere l'Ucraina, serve un segnale di determinazione, dobbiamo essere riconoscenti ed efficaci nel dare risposte alle nostre società sulle conseguenze del conflitto». Se il sostegno a Kiev diminuisce, «non si aiuta la pace», ha aggiunto Kuleba, che ora guarda pure al neogoverno polacco del filo-Ue di Tusk. Al fronte pro-Kiev non si sottrae la Germania di Scholz («fare il necessario, per il tempo necessario»). Ue pronta insomma a scontarsi per Kiev: gli scettici sull'adesione permeabili al canto delle sirene di Mosca sono minoranza. Per Gabrielius Landsbergis, ministro della Lituania, «testeremo il significato delle parole aiuteremo l'Ucraina finché necessario, potrebbe significare fin quando siamo d'accordo». La Slovacchia ha già stoppato gli aiuti in armi. Un mancato via libera Ue al percorso di adesione non aprirebbe a concessioni alla Russia, è la garanzia data da Kuleba. L'Ucraina ha già approvato «3 delle 4 leggi» chieste dalla Commissione; l'ultima è in Parlamento.

E per Zelensky, un Sì sarebbe più importante delle armi.

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