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Matita nera e Armata rossa, il "satiro" dell'attico accanto

Il vignettista è l'ultimo truciolo del sovietismo, ma serve a soddisfare la sinistra radical con la bava alla bocca

Matita nera e Armata rossa, il "satiro" dell'attico accanto

Matita carogna e vignette bastarde, Vauro Senesi, da Pistoia, terra di bestemmie musicali, lampredotto e uomini discordevoli, crudeli e salvatichi, odia tutti e da tutti è odiato. «Ibboia!». Vauro fa tana a sé, è insofferente del mondo e ringhia - graffi e grafite - contro chiunque. Per lui tutti gli uomini pari sono. Homo homini lapis.

Forte della massima «La satira deve avere limiti per superarli continuamente», ma anche del detto «Né per scherzo né per burla, intorno al culo un ci vó nulla!», Vauro Senesi occhialino alla Trotskij e pizzetto alla Lenin, perché la rivoluzione è anche una sfilata di gala ha infilato il suo matitone in 'ulo a ministri, giornalisti, prelati, capi di Stato, presidenti, Papi e rabbini. Tiè! Sempre pericolosamente in bilico fra satira e cattivo gusto, più sbilanciato verso il secondo che la prima, è stato condannato per vilipendio a causa di una vignetta su Gesù. È stato sospeso dalla Rai per un'altra sui terremotati dell'Aquila. Ha attaccato Mattarella. Ha fatto della sua Papeide su Wojtya un business. Ha ritratto Zelensky col nasone adunco l'antisemitismo senza limitismo ma soprattutto ci ha lasciato un monumentale Codice Atlantico con disegni, caricature e vignette di Matteo Salvini, il suo soggetto preferito, declinato in tutti i fascismi possibili; di Silvio Berlusconi, al quale però in fondo ha voluto bene, tanto da volergli dare un bacio in bocca per ragioni di geopolitica ucraina; e con particolare fantasia anche della Meloni: l'Ur-fascismo in matita nera.

Migliaia di matite spuntate e un paio di vignette riuscite (fra cui una celebre, per il Fatto quotidiano, su un allora indeciso ministro dei Trasporti Danilo Toninelli con la maglietta «Boh Tav», ma anche quelle su Madre Mastella di Calcutta e su Brunetta-Dudù erano divertenti), decine di collaborazioni storiche fin dagli anni Ottanta (con Il Male, il manifesto, Satyricon, Cuore, e ha diretto persino il settimanale Boxer, chiuso subito), 68 anni, 35 libri, di cui una dozzina con la Piemme di Berlusconi, debolezza di tutti gli antiberlusconiani doc, qualche comparsata cinematografica, una con la Zapatera Sabina Guzzanti, due matrimoni dal primo è nata Fiaba, dal secondo è nato Rosso, quando le ossessioni ricadono sui figli e una sola regola di vita: con la satira si può colpire chiunque. A parte gli islamici.

Uomo di parte, fazioso, toscanaccio di fiche e Vanni Fucci, falce, martello e ribollita, Vladimir Il'ic «Vaurianov» ha vissuto tutte le sfumature del peggior sovietismo all'aglione, sempre schifando il Pd. Ha fatto parte del comitato centrale del Partito dei Comunisti italiani di Cossutta e Diliberto, poi ha sostenuto la Rivoluzione civile di Ingroia, quindi ha fatto fronte con Potere al Popolo!, ha flirtato con la Lista Tsipras e infine votato De Magistris... Uno il cui amore per il comunismo è inversamente proporzionale al disgusto per il renzismo.

Carboncino nero e bandiera rossa, Vauro vive fuori dal tempo da cui il soprannome «TirannoVauro» - in un eterno ritornello del vecchio inno sovietico, gira solo in motorino e con i mezzi pubblici nel mito del sottoproletariato urbano, cita Majakovskij, di solito a cazzo, veste con abiti comprati a Porta Portese, al banco del russo Stanislao, cinturone da truppa dell'Armata rossa, maglietta a righe bianche e blu, non la tropézienne di Picasso, ma la Tel'njaska della Marina dell'Unione sovietica, Stella Rossa al collo, e nel suo attico immigrazionista al Viminale accumula cimeli e memorabilia sovietiche (alla fine tutti abbiamo il nostro busto di Mussolini in casa), divise originali dell'Armata rossa, tute dei cosmonauti sovietici, i ritratti di Gagarin e di Valentina Terekova, prima donna nello spazio, epica Cccp e oggi fedelissima putiniana. Vauro è così: sopravvive nel crepuscolo della Grande Rivoluzione di Ottobre, venera il despota venezuelano Nicolás Maduro, rimpiange la Cuba castrista, segue con ottimismo la parabola della Corea del Nord. Vauro sembra uscito dalla Casa del Popolo di Quarrata nel film Berlinguer ti voglio bene, e siamo nel 2023... Se la satira dev'essere partigiana, lui lo è di più.

Settario molto più del necessario, agent provocateur del peggior buonismo d'accatto, moralista che rasenta l'integralismo, consonanti aspirate e spara cazzate, Vauro Senesi nel mazzo del mercante in fiera del grande talk show televisivo è una carta fondamentale, che va bene per qualsiasi rete perché copre in modo straordinario quella fascia lì, quella dei tweet di Rula Jebreal, i commenti queer della Murgi*, le teleprediche piagnucolose di Saviano, le lectio extra lege del professor Montanari, le freddure riscaldate di Bottura, le ripassate antisemite di chef Rubio, i pipponi arcobaleno della Cuzzocrea... Aveva ragione Lui, beato Lui: «Siete ancora ed oggi come sempre dei poveri comunisti».

Che poi, «povero»... Vauro, che è partito da Annozero, il manifesto pro Cesare Battisti, le campagne no global e anticapitalistiche, negli anni di Sant'Oro prendeva mille euro a puntata in Rai, e oggi che è l'antiberlusconiano più presente sulle reti di Berlusconi, fattura come un mobiliere di Carate Brianza.

Sì, va bene «Cuba, qué linda es Cuba!» ma poi le vacanze nostalgiche le lascia ai vecchi militanti e lui va con la famiglia a New York. Bello l'anticapitalismo, discriminante minima per chi si dice comunista, però le tue vignette, caro Vauro-«No big tech»-Senesi, le vendi a 130 euro a botta su Etsy.com. Fare il socio con le multinazionali degli altri.

Le vignette a volte scalfiscono il potere di coloro cui sono destinate, altre rafforzano l'imbecillità di chi le disegna. Domanda: ma da dove viene, ultimamente, il gusto perverso di Vauro per i bambini e i defunti?

Vauro: c'è chi non lo sopporta e chi non può farne a meno.

Cose che Vauro non sopporta: Salvini, la Carfagna quando stava con Berlusconi, l'invio di armi in Ucraina, i traditori del comunismo (dàglie alla Maglie), le foibe («trucido strumento di propaganda sovranista») e Bertinotti, troppo poco comunista. Una volta, Afghanistan 2006, mentre in Parlamento si discuteva il rifinanziamento della missione italiana, Vauro chiama Bertinotti dall'ospedale di Emergency, tra sangue e feriti. «Qui è un massacro!». «Cavo Vauro, devi capive che in Afghanistan si costruisce l'Euvopa». Gli rispose: «Caro Fausto, devi capire che l'Afghanistan è in Asia minore», e gli buttò giù il telefono.

Cose che Vauro adora: passare per martire del libero pensiero, innalzare i palestinesi a figure cristologiche, la Carfagna quando non è stata più con Berlusconi, i perdenti (andò ad Hammamet a trovare Craxi: Senesi sarà insopportabile ma non ha l'epidermide impenetrabile...), sfumare i confini già di per sé labili fra satira, libertà di stampa e diritto di insulto, e ripetere la frase «Le mie vignette preferite? Quelle su cui io stesso non sono d'accordo».

D'accordo, Vauro non è Vincino (era un'altra cosa: radicale, uomo di mondo, poca ideologia e molta verve), e non è neppure Riccardo Mannelli, altro pistoiese, al confronto un George Grosz della vignetta. Vauro, vignettaro più che vignettista (gli manca l'esprit de finesse) va bene per la sinistra con la bava alla bocca, gli antiberlusconiani di risulta e i berizzi in astinenza da neofascismo. Niente di più.

E come ha confessato una volta il collega Makkox, «Diciamo che Vauro mi fa lievemente cagare».

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