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Meloni e l'asse con la Polonia. "Noi insieme, stop migranti"

Intesa col premier Morawiecki: "Ci basta un'occhiata... Siamo d'accordo: i flussi vanno fermati alla partenza"

Meloni e l'asse con la Polonia. "Noi insieme, stop migranti"

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Giorgia, Giorgia... «Con lei è sufficiente un'occhiata per capire che abbiamo posizioni comuni», spiega Mateusz Morawiecki. E la premier, flattered, conferma: «Basta guardarci in faccia per andare d'accordo». E pazienza se solo pochi giorni fa proprio Polonia e Ungheria, i suoi migliori alleati, dopo aver fatto saltare l'intesa europea sulla ricollocazione dei migranti, hanno pure respinto la mediazione italiana. La Meloni «comprende» certe difficoltà. «Banalmente, gli interessi delle nostre nazioni, anche per motivi geografici, sono diversi. Sostanzialmente, la pensiamo nella stessa maniera, i flussi vanno fermati alla partenza, non gestiti». Insomma, «nella quasi totalità delle questioni, abbiamo l'identico obbiettivo».

Quasi, perché nel suo secondo viaggio a Varsavia, nel Palazzo sulle Acque del parco Lazienski - «che bello, sembra Villa Pamphilj» - Giorgia deve un po' riannodare i rapporti con il premier polacco. Chiarimento? Riconciliazione? Macché, «davvero ci basta un'occhiata». Sul tavolo del bilaterale i piatti forti sono l'immigrazione e le elezioni europee di giugno 2024. La Meloni, che è presidente del gruppo dei conservatori di cui fa parte pure Morawiecki, sta lavorando di sponda con Antonio Tajani per un'alleanza con il Ppe. Matteo Salvini invece spinge per un fronte che comprenda le destre estreme di Le Pen e Afd. I giochi sono in movimento anche perché il popolare Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo, è il maggior avversario interno di Morawiecki. «Comunque vada, noi dobbiamo pensare a rafforzare la nostra famiglia - dice la premier - I conservatori dovranno essere determinanti».

Si vedrà. Intanto il nervo scoperto è quello dei flussi: Varsavia e Budapest non hanno alcuna intenzione di aprire le porte e prendere altre quote. Tra pochi mesi qui si vota e il premier polacco non vuole pagare nelle urne qualunque tipo di «cedimento» a Bruxelles. Anzi, rilancia la sfida. «Organizzeremo un referendum perché i cittadini possano dare il loro parere su chi è il padrone, la Ue che ti impone quote e di fa pagare penali, o lo Stato sovrano. In molte aree serve il principio dell'unanimità e non questa centralizzazione pericolosa. La priorità dell'Unione dovrebbe essere la sicurezza dei Paesi e se non controlliamo gli arrivi irregolari rischiamo di vedere nelle nostre strade quello che vediamo altrove». Il riferimento, nemmeno troppo velato, è alla Francia in fiamme e ai disordini nelle banlieu attorno a Parigi e in altre città. Ma si guarda bene dal citare Macron: anche senza socialisti, impossibile pensare a una maggioranza a Bruxelles che non coinvolga i liberali.

E così la Meloni può riagganciare il suo alleato. «Chi pensa di dividerci si illude, io ammiro la forza con cui Mateusz difende gli interessi nazionali». Che sui migranti non coincidono del tutto, visto la pressione sulle nostre coste. Roma, che adesso «è più rispettata nel mondo», capisce le «difficoltà nel ricollocamento», tanto più che non si può certo accusare Varsavia di insensibilità. «Si stanno caricando più di tutti il peso dei profughi ucraini, senza che questo sacrificio venga troppo riconosciuto».

Sfumature. «In realtà la nostra posizione è la stessa: vogliamo fermare i flussi irregolari. Finché la Ue pensa di risolvere il problema gestendo le persone quando arrivano sul territorio europeo, non avremo mai una soluzione definitiva. Dobbiamo invece darci da fare per bloccare le partenze, con un lavoro sull'Africa». L'idea è quella di «una cooperazione non predatoria e di sostegno ai Paesi che sono a loro volta vittime del traffico di esseri umani, della mafia del terzo millennio».

Vedute identiche pure sulla guerra. «Offrire reali condizioni di sicurezza a Kiev è l'unico modo per ottenere una pace giusta». Infine l'economia.

«Se non si sostiene la crescita in Europa non si può garantire la stabilità delle nazioni più indebitate».

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