L'analisi del G

Meno auto, ma più care. Clienti e lavoratori pagheranno il conto dell'ideologia "green"

Le politiche suicide di Bruxelles hanno distrutto un comparto che vale il 10% del Pil. I prezzi aumentano, il mercato crolla e 3 milioni di occupati sono a rischio Ma i motori a scoppio producono solo lo 0,9% della CO2

Meno auto, ma più care. Clienti e lavoratori pagheranno il conto dell'ideologia "green"

Che sta succedendo all'auto in Europa e come andrà a finire? La Gran Bretagna ha slittato al 2035 il divieto di vendita di auto col motore termico. Da Bruxelles il Consiglio d'Europa, dove siedono gli esponenti dei governi nazionali, ha risposto mantenendo per l'Euro7 gli stessi limiti alle emissioni dell'Euro6 attualmente in commercio. Dopo che per anni ci hanno detto che avremmo guidato solo auto elettriche, ora sembra che ci sia un ripensamento.

Da almeno un decennio le associazioni ambientaliste, su tutte Transport&Environment e Greenpeace, premono sull'impatto delle auto sul clima e sulla qualità dell'aria. È tutta ideologia senza fondamento, come documentato dai dati ufficiali del Parlamento Europeo. La CO2, che non è un inquinante ma un gas serra climalterante, emessa da tutte le auto circolanti in Europa è lo 0,9% del totale delle emissioni, per cui, se anche fossero tutte elettriche, l'effetto sul clima non ci sarebbe. Per l'inquinamento, le nuovissime Euro6 hanno abbattuto gli scarichi di polveri sottili e di ossidi di azoto del 98 e del 96% rispetto alle vecchie Euro0, che sono infatti il vero problema.

Una pressione costosa e articolata contro l'industria automobilistica europea, che pesa intorno al 10% del Pil con 12,9 milioni di addetti. Sebbene alla domanda «cui prodest?» la risposta sia «la Cina», non risultano evidenze di finanziamenti asiatici a questi movimenti, le cui campagne si sono sommate alla reazione di Volkswagen e degli altri costruttori tedeschi al Dieselgate, che veniva dagli Usa con la finalità di dissuadere la Germania dal NordStream2 e dal gas russo. I tedeschi non si sono limitati a scusarsi doverosamente per il trucco della centralina, ma hanno rinunciato a difendere la validità del motore diesel, annullando così un'importante superiorità tecnologica sugli asiatici e sugli americani. La stampa, schierata non dalla parte dei fatti ma da quella delle ideologie ambientaliste, ha agevolato questo attacco, non capendo che in Europa spostare il motore da termico a elettrico significherebbe passare da una supremazia motoristica a una sudditanza tecnologica sulle batterie e una dipendenza sulle materie prime verso la Cina.

In quel contesto fu stato calato l'asso Greta, ovviamente parte del disegno, che con i suoi cortei agevolò la scalata dei Verdi al Parlamento europeo e l'insediamento di Frans Timmermans, un radicale vicino a Greenpeace, alla vicepresidenza della Commissione, che aveva sul tavolo tre dossier chiave. La conversione di tutte le vendite al motore elettrico, un auspicio poi trasformato in diktat quando hanno capito che i cittadini non l'avrebbero fatto spontaneamente. Poi l'adozione dal 2025 degli standard di emissione Euro7, con costi folli e nessun beneficio tangibile. Infine l'imposizione dal 2020 di multe ai costruttori che sforano il limite di 95 g/km di CO2 sulla media di tutte le auto vendute. Questa misura, di cui nessuno parla, è quella che più di tutte spinge i manager delle case auto a promuovere l'elettrico oggi, visto che nessuno di loro sarà lì nel 2035 ma tutti prendono il bonus sui bilanci di questi anni.

A queste entrate a gamba tesa della politica, prive di fondamento scientifico, i costruttori auto non hanno saputo né voluto opporsi, scegliendo di obbedire cercando i margini per sostenere i maggiori costi e le minori vendite. Il fermo di produzione da lockdown, microchip e altro ha confermato che la nuova strategia funziona: guadagnare di più costruendo meno macchine.

Queste storie tradotte in termini economici suonano più o meno così. In Italia prima del Covid si sono immatricolate 1,9 milioni di auto, con forti pressioni sugli sconti. Di queste, 800mila (il 42% delle vendite) erano sotto i 20.000 euro di listino e circa 130mila (il 7%) addirittura sotto i 14.000 euro. Nel 2022 il mercato è crollato a 1,3 milioni e sotto i 20.000 euro sono state vendute 360mila macchine, il 27% del totale. Zero vendite sotto i 14.000 euro. Queste analisi esclusive del Centro Studi Fleet&Mobility hanno anche indicato che nel 2019 gli italiani, privati e imprese, avevano speso 40 miliardi per immatricolare 1,9 milioni di auto a un valore medio netto di 21.000 euro, mentre nel 2022 hanno speso 37,6 miliardi per 1,3 milioni di auto, a un valore medio netto di oltre 28.000 euro.

Ora la politica sembra ripensarci e magari è vero, però l'industria ha tempi lunghi. Più che un motoscafo è un Titanic, che naviga contro l'iceberg dei tantissimi clienti che non vogliono l'elettrico. Per non affondare dovrà virare, ma l'urto ci sarà comunque. Vincerà chi sarà più agile a virare e subire meno danni. Perché sì, una quota di auto elettriche c'è e resterà, ma insufficiente a dare ritorno agli investimenti fatti, che senza il mercato sperato diventeranno perdite. Nel frattempo, le auto cinesi sono già qui, sul red carpet steso dai costruttori europei che si sono ritirati dalle fasce di primo prezzo.

Le prospettive a questo punto sono le seguenti. In generale, se prima in media erano 7 gli anni tra l'acquisto dell'auto e la successiva, domani saranno 8 e senza scandali, visto che non produrre è sempre il miglior risparmio di CO2. Poi, dei clienti rimasti oggi fuori dal mercato, alcuni si orienteranno al prodotto usato non potendo accedere economicamente al nuovo, mentre altri acquisteranno macchine più economiche fabbricate in Cina. In soldoni, un mercato europeo più basso di prima del 15/20%, di cui una fetta sarà import dalla Cina. Sembra verosimile stimare in circa 3 milioni i posti di lavoro da sacrificare.

In conclusione, le politiche ambientaliste fondate sull'ideologia e non sulle evidenze scientifiche hanno indebolito l'industria, che però riesce a riposizionarsi su prodotti a maggior valore aggiunto. Gli automobilisti troveranno comunque prodotti in fascia economica, tra usato e auto cinesi. I lavoratori sono quelli che pagheranno il conto.

Il perché di tutto ciò? Ma niente, ci sembrava così cool andare dietro a Greta..

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