Guerra in Israele

Missili, sirene, corse ai rifugi. Israele celebra i suoi eroi e lotta per la sopravvivenza

Le scuse del capo di Stato maggiore, la partenza dei giovani riservisti arrivati da tutto il mondo. L'inno cantato sui balconi e le storie di resistenza al terrore

Missili, sirene, corse ai rifugi. Israele celebra i suoi eroi e lotta per la sopravvivenza

Da ieri Israele ha il suo nuovo governo di emergenza nazionale, creato per combattere e vincere questa guerra fatale contro il terrorismo. Ha la responsabilità terribile di riportare Israele a vivere e di battere il nemico in nome di un popolo ferito. Lo vota oggi la Knesset, ne sono il vertice Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, che devono formare un ristretto gabinetto di guerra, insieme con Gadi Eisenkot e con il ministro della Difesa Gallant e Ron Dermer, oggi ministro degli Affari strategici. Il capo dell'opposizione Yair Lapid per ora dice che, se restano i ministri di estrema destra, non vuole saperne. Ma non è detta l'ultima parola: la gente chiede di dimenticare la politica, il popolo ripete di vincere per sopravvivere.

Mentre scriviamo tutta Israele è di nuovo nei rifugi. Anche in Galilea Hezbollah bombarda. Si tratta di decidere come si deve muovere l'esercito: se deve affrontare meandri e trappole di Gaza, se deve rispondere agli Hezbollah, che cosa si deve fare a fronte di 200 scudi umani in mano al nemico. E anche come si deve affrontare il mondo che si dimenticherà rapidamente degli ebrei uccisi nel pogrom per recuperare subito l'ideologia che fa dei palestinesi una vittima dell'imperialismo. Ma Netanyahu l'ha detto chiaramente e il capo di Stato maggiore Aviv Kochavi ammettendo pubblicamente i suoi errori ha ripetuto: Israele non lascerà che nulla della struttura di Hamas sopravviva a questo. Non i suoi uomini, non le sue armi. Sembra sempre più vicino quell'ingresso di terra a Gaza che può costare un prezzo altissimo. Anche il confine del Nord va riscaldandosi, il rischio è una grande guerra in cui Hezbollah e Iran prendano direttamente parte. Ciò che conforta è il sostegno degli Stati Uniti, con la Gerald Ford in avvicinamento.

Le famiglie dei soldati vedono partire i loro figli. Gli annunci del fronte interno chiedono anche ad Ashkelon, Ashdod, Sderot, Avivim di restare chiusi in casa; 350mila riservisti sono arrivati da tutte le parti del mondo. Una ragazza parte di una coppia tornata apposta dalla Thailandia dove si dedicava all'agricoltura, abbraccia il marito di fronte all'autobus che lo porterà alla sua base. I genitori accompagnano fino ai punti di raccolta i figli, per le strade ancora caotiche e invase dai residui della guerra. Zaka, la compagnia che tante volte ha ricomposto e riconosciuto i corpi smembrati dal terrorismo, lavora senza sosta. Al cimitero militare di Ar Herzl a Gerusalemme, una folla di genitori seppellisce i suoi figli. Il Paese è ancora in lacrime, in piena battaglia, gli attacchi seguitano a essere annunciati dalle sirene e dalla radio, la gente che esce per guardarsi intorno e poi è ancora costretta a tornare di corsa a rifugiarsi. Ma ha una determinazione totale a vivere. Al confine Sud arrivano da tutta Israele i volontari per aiutare, si ammucchiano le scatole di beni per la gente che ormai non riavrà mai più la sua casa. Residui di costruzioni e di auto incenerite, nei prati dei kibbutz una volta verdi, segnalano le vite stroncate di tanti ragazzi, le biciclettine nere a Beeri e a Kfar Azza parlano di quei bambini che non vedremo mai più.

Nello stesso spiazzo a Sderot da una parte un gruppo religioso con la kippah e dall'altra decine di giovani di sinistra fra i più contestatori coordinano l'arrivo massiccio di ogni tipo di aiuti. Centinaia le storie di eroismo, nessuno si è tirato indietro, un giovane è corso su e giù per la strada maledetta a portare via i ragazzi che fuggiti dalla festa correvano sotto il fuoco, i terroristi sono anche stati combattuti da chi aveva un'arma, un giovane marito è riuscito a salvare la moglie dalle mani dei terroristi uccidendone dieci. Ma un ragazzo di 16 anni da un ospedale racconta con voce atona come sua madre e suo padre quando hanno tirato loro addosso una bomba a mano, gli hanno fatto scudo col loro corpo, e morendo gli hanno salvato la vita. La mamma di Romi, una bellissima ragazza che era alla festa, racconta come hanno parlato al telefono per un'ora intera in cui lei le diceva «Mamma muoio, ti voglio bene» e la madre le sussurrava stai zitta, nasconditi, non ti far sentire, ti salveremo, poi più niente.

A Tel Aviv si è creato un centro in cui si possono vedere tutti video in cui potrebbe apparire uno dei propri cari oggi uccisi o nelle mani dei mostri. Israele lotta, si sa organizzare: tutti per uno. All'annuncio di Hamas che avrebbe colpito Tel Aviv alle 9, la gente è uscita sulle terrazze cantando l'inno. Al kibbutz Beeri, uno di quelli di cui rimangono solo tizzoni neri e corpi smembrati (108 morti), uno dei sopravvissuti, Itay, padre di due bambini di due e cinque anni, anche loro miracolosamente salvi, racconta che per riuscire a mantenere calmi i figli mentre la famiglia era assediata si è ricordato del film di Roberto Benigni La vita è bella: «Mi sono inventato per loro una realtà fittizia, un gioco in cui la morte, la paura, non avessero libero accesso».

Ma Israele adesso non gioca: a fronte di un Paese ancora aggredito dal Sud al Nord, prepara le prossime mosse di una guerra che deve essere definitiva.

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