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Nell'indagine sulle manganellate sotto esame anche la catena di comando

La Procura di Pisa ipotizza per i quindici agenti i reati di violenza privata e lesioni aggravate. Accertamenti anche sugli ordini dei superiori durante gli scontri

Piantedosi parla sullo sfondo delle immagini dei manifestanti
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Nell'indagine sulle manganellate sotto esame anche la catena di comando

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Violenza privata, lesioni volontarie aggravate: sono queste le ipotesi di reato che la procura della Repubblica di Pisa sta valutando a carico dei poliziotti protagonisti degli scontri con gli studenti filopalestinesi di venerdì scorso. Il primo passaggio potrebbe essere l'apertura di un'inchiesta a carico di ignoti, dopodiché l'iscrizione dei nominativi nel registro degli indagati potrebbe arrivare a breve, anche per consentire agli agenti sotto accusa di nominare difensori e partecipare agli accertamenti.

I primi candidati all'incriminazione sono verosimilmente una quindicina di appartenenti al Reparto Mobile che si trovavano schierati in via San Frediano con il compito di impedire l'accesso del corteo non autorizzato in piazza dei Cavalieri. Sono gli uomini che hanno dapprima subito l'attacco verbale e fisico da parte delle prime file del corteo e che poi hanno risposto con le cariche di alleggerimento realizzate con modi che hanno sollevato la critica anche del capo dello Stato. Tutti i filmati in cui vengono ripresi gli scontri, e in cui i poliziotti sono in buona parte riconoscibili, sono già stati forniti alla Procura dai carabinieri: dovrebbe essere l'unico contributo fornito dall'Arma all'indagine, che per il resto verrà affidata alla polizia. D'altronde i nominativi dei componenti sono stati già forniti dalla Questura di Pisa alla Procura, con la quale fin dall'inizio la polizia pisana ha collaborato pienamente. Ma l'indagine non si fermerà a chi ha partecipato direttamente agli scontri: tra le iniziative assunte dal procuratore vicario Giovanni Porpora c'è anche la ricostruzione della catena di comando del dispositivo di ordine pubblico, che dal funzionario del Reparto Mobile presente in piazza risale fino alla sala operativa della Centrale e al questore Sebastiano Salvo. Se si accertasse che le cariche di via San Frediano non sono state una reazione spontanea del reparto antisommossa ma la conseguenza di un ordine illegittimo impartito dall'alto, verso il dirigente che lo ha impartito potrebbe scattare anche l'accusa di abuso d'ufficio.

Se questo è il quadro in cui le indagini dovranno per forza muovere i primi passi, tutt'altro che scontato è che gli agenti debbano essere portati sotto processo. In queste ore in Procura si sta valutando con attenzione l'effetto incrociato dell'articolo 53 del codice penale, che rende «non punibile» l'utilizzo da parte della polizia dei «mezzi di coazione fisica» per «vincere una resistenza»; e dell'articolo 51 che prevede che «se un reato è commesso per ordine delle autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine». Come si vede, diventa cruciale stabilire se le cariche siano partite spontaneamente o per ordini superiori. Per questo la Procura potrebbe disporre il sequestro delle conversazioni radio tra la sala operativa della questura e i reparti dislocati a protezione (secondo la versione ufficiale) della Sinagoga.

L'inchiesta della Procura tiene per ora aperti tutti gli scenari, anche se il capo dei giovani del Pd pisano Enrico Bruni ha già emesso la sentenza definitiva («il comportamento della polizia è stato completamente illegale»). Nel frattempo è già partito sui social il linciaggio del questore Sebastiano Salvo, colpevole di essere stato in servizio ventitrè anni fa, quando era un giovane funzionario, al G8 di Genova. Nel delirio di quei giorni Salvo non ebbe alcun ruolo, non è mai stato accusato di alcunchè, e tre anni fa in una intervista analizzò lucidamente «quel che non ha funzionato dal punto di vista dell'ordine pubblico in quei drammatici giorni».

Niente da fare, ora Salvo viene dipinto come una sorta di manganellatore seriale e viene chiesta la sua testa.

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