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Parigi val bene una fuga. Letta (ri)vuole Sciences Po

L'ex premier in corsa per guidare il prestigioso ateneo anche sfruttando il caos delle proteste contro Israele

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Bisogna candidarsi, e il prof Enrico Letta potrebbe farlo. Inserirsi nella lista dei potenziali nº1 di Sciences Po per rientrare nella prestigiosa università francese dal portone principale. Da quando è scattata l'ora X, e cioè l'apertura delle procedure per correre alla direzione dell'ateneo parigino (le «iscrizioni» sono partite il 2 maggio e si chiuderanno il 30 giugno) il nome di Letta è tornato a circolare. E non senza alzate di sopracciglio da parte di chi l'ha già visto all'opera nella cattedra dell'Istituto di Studi Politici dell'élite transalpina.

A porre in tv una domanda al diretto interessato è stata Caroline De Camaret, su France24: «Si parla molto di lei per una corsa alla direzione dell'ateneo...». La giornalista stuzzica l'ex premier chiedendogli se abbia almeno una ricetta per affrontare la doppia tormenta in corso a Sciences Po, visti i rumors che si rincorrono sulla sua caccia alla poltrona d'Oltralpe. Letta non smentisce le voci: «Amo Sciences Po, la adoro, è un luogo magico, magnifico...». E potrebbe perfino trarre vantaggio dal caos per ritrovare spazio. Ancor prima che s'accendesse la miccia pro Palestina, all'università c'è stato l'ennesimo scandalo interno, le brusche dimissioni del direttore Mathias Vicherat rinviato a giudizio per violenze coniugali; poi un interim talmente debole che ha subito l'ondata di slogan antisemiti e il conseguente ricatto degli studenti occupanti (tolte loro perfino le sanzioni e governo costretto a chiedere alla polizia «fermezza totale»).

«È ovvio che la tensione attorno a questi temi richieda un'attenzione particolare...», spiega Letta, 57 anni, che ascolta Vasco Rossi da quand'era ragazzino. Basterà la sua Vita Spericolata per riportarlo a Parigi? «Puoi dir di sì, puoi dir di no, ma questa è la vita», canta un altro suo gruppo feticcio: Elio e le Storie Tese. Chissà se pensando a quel verso de La Terra Dei Cachi Letta non cominci a serrare i ranghi: «Non rechiamoci al caffè/C'è un commando che ci aspetta per assassinarci un po'». Decapitare la sua candidatura sul nascere, s'intende.

Le malelingue parigine sono già all'opera. E poco conta che il presidente francese l'abbia citato nel suo discorso alla Sorbona, elogiandone il lavoro svolto su input della Commissione europea; Macron ha citato anche Matteo Renzi, l'uomo che invitava Letta a star sereno. E si sa com'è andata a finire. Rientrato in politica per motivare i giovani a tornare in Italia, era il 2021, ora dovrà giustificare le ragioni per espatriare di nuovo: per ora la poltrona. Che a Roma non ha più e cerca all'estero. Un mese fa, a un evento europeista a Sciences Po, era tra i relatori. Segno che l'interesse per la sua figura non s'è affievolito del tutto. Ma gli ostacoli sono dietro l'angolo. È un concorrente in nuce. «Deciderò nelle prossime settimane...». Tradotto: deve verificare se avrà appoggi validi o se rischia di andare a sbattere. Come quando, perse le elezioni, a Sciences Po non l'hanno sostanzialmente più voluto.

O come ebbe a dire Renzi giusto un anno e mezzo fa, «non vorrei che ci tornasse, perché se va a insegnare strategia politica lì, è un casino».

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