Cronache

Parla come mangi

Guerra ai falsi alimentari

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«L'immagine è puramente a scopo rappresentativo». Ormai da tempo le aziende alimentari ci preparano così al fatto che, una volta aperta la confezione, il cibo all'interno assomiglierà ben poco all'illustrazione esterna. Da oggi, però, i produttori dovranno stare attenti anche alla denominazione delle proprie pietanze: è guerra aperta alle definizioni ingannevoli, ai termini che possono confondere il consumatore e mettergli in tavola cose diverse da quelle pubblicizzate.

L'ultima notizia arriva dal Pakistan: l'autorità per la sicurezza alimentare della provincia del Punjab (la più grande del Paese, 110 milioni di abitanti) ha stabilito che le lattine di Red Bull, la bevanda energetica a base di caffeina, non potranno più riportare la scritta «energy drink». L'inganno, spiegano, sta proprio in quell'«energy»: termine scientificamente fuorviante, che induce una popolazione inconsapevole del contenuto della bibita (e largamente non istruita) a tracannarne in quantità industriali. «Negli spot in tv gli attori lanciano pneumatici, corrono e corrono», ha detto al Guardian il direttore dell'authority pakistana, Noorul Amin Mengal. Alcune persone, spiega, sono anche finite in ospedale dopo aver bevuto troppa Red Bull. L'azienda di Salisburgo ha tempo fino alla fine dell'anno per sostituire quell'«energy» con un più sobrio «stimulant», eccitante, e per aggiungere nell'etichetta una serie di avvertimenti rivolti a donne in gravidanza e bambini sotto i 12 anni in urdu, la lingua nazionale.

Ma la battaglia contro le bufale alimentari è arrivata anche in Europa. A metà aprile la Francia ha approvato un emendamento che vieta ai cibi vegani di essere messi in commercio con i nomi dei «corrispettivi» animali. Nel Paese della nouvelle cuisine non si potranno più vendere «hamburger di soia» né «formaggi di tofu», e nemmeno «salsicce vegetariane» e «latte di soia». Per chi non rispetta la norma sono previste multe fino a 300 euro. Il relatore, l'agricoltore e deputato de La République En Marche Jean-Baptiste Moreau, ha gioito per l'approvazione dell'emendamento in nome di una «migliore informazione ai clienti su ciò che mangiano» e della «lotta alle false affermazioni». La sua proposta si basava su una sentenza della Corte di giustizia europea, che l'anno scorso si era espressa nello stesso senso, ma limitatamente ai (finti) latticini in realtà derivati da soia e tofu. Le uniche eccezioni ammesse dall'Ue sono state per il latte di cocco e di mandorla e il burro di arachidi, che potranno continuare a essere venduti con questo nome.

Pane al pane e vino al vino si potrebbe dire, senza nemmeno uscir di metafora. Restando in Europa, lo stesso proverbio ci porta in Svezia. Dove l'account ufficiale del Paese su Twitter ha fatto cadere uno dei miti nazionali, anche se con ironia. «Le polpette svedesi sono in realtà derivate da una ricetta importata da re Carlo XII di Svezia dalla Turchia nel 18esimo secolo - ha twittato il profilo Sweden.se - Atteniamoci ai fatti!». Le polpettine di carne, considerate piatto nazionale, sono molto popolari in tutto il mondo grazie al fatto di essere vendute dal colosso dei mobili Ikea, che ne serve circa 2 milioni al giorno nei ristoranti all'interno degli store.

La notizia non poteva che risvegliare l'orgoglio nazionale turco: l'Agenzia per la cooperazione di Ankara ha subito commentato che Ikea «dovrebbe, per correttezza, venderle come polpette turche e non svedesi». La morale resta sempre la stessa: chiamiamo le cose (che mangiamo) con il loro nome.

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