Politica

Il populismo "piccona" la classe dirigente

Affermare che il centrodestra perde perché diviso è una tautologia, cioè un'asserzione che non spiega nulla, perché dovrebbe a sua volta essere spiegata

Il populismo "piccona" la classe dirigente

Affermare che il centrodestra perde perché diviso è una tautologia, cioè un'asserzione che non spiega nulla, perché dovrebbe a sua volta essere spiegata. E non è poi neppure sempre vera: funziona per Verona e per Catanzaro, ma non per i casi in cui la coalizione è uscita malconcia anche quando è stata compatta, come a Monza. Bisognerebbe individuare bene le cause, che non sono pochissime.

Qui vorremmo soffermarci sul deficit di classe dirigente di questa coalizione. Molti confondono classe dirigente con ceto partitico, ma si tratta di due oggetti diversi. Il ceto partitico è composto da militanti e da funzionari che possono essere molto efficaci a raccogliere voti, ma non altrettanto ad amministrare la cosa pubblica. In un partito in buona salute devono esistere entrambi, nel centrodestra invece pare essersi diffuso un virus partitocratico, in cui il ceto dei funzionari ha schiacciato quello degli amministratori, che potrebbero venire anche da altri contesti, le professioni, l'impresa, l'università e cosi via. Quelle che vengono insomma chiamate élite. Oggi in Italia, nei Comuni soprattutto, è raro che il funzionario di partito possa essere anche un buon candidato sindaco. E, d'altra parte, è anche molto difficile trovare esponenti della cosiddetta società civile che vogliano immolarsi al compito gravoso di primo cittadino, poco remunerato e foriero di mille grane, soprattutto giudiziarie. Il centrodestra attuale fatica a far nascere, dal suo ceto partitico, figure di spicco e al tempo stesso non riesce a trovare al di fuori della politica nomi adeguati. Non è stato sempre cosi: la Lega di un tempo, per esempio, poteva presentare amministratori di vaglia provenienti dal suo ceto partitico. Mentre Forza Italia era in grado di attrarre, dalla borghesia delle professioni, candidati di successo, pensiamo a Gabriele Albertini o a Letizia Moratti. Questo circolo virtuoso è saltato per molte ragioni. Una delle quali è il diffondersi della mentalità populista nella coalizione di centrodestra. Se il tuo messaggio è di quel tipo, se spregi le élite, se pensi che in fondo «uno vale uno», allontani da te le professioni da un lato e dall'altro il tuo ceto partitico si forma attorno a quel messaggio, prevalentemente agitatorio e di battaglia, movimentistco potremmo dire: che però non prepara buoni amministratori e soprattutto impedisce di attrarre elettori anche nell'altro campo.

Il risultato finale è che il cuore geografico del centrodestra originario, che era berlusconian-bossiano, la Lombardia, ormai è quasi ovunque in mano alla sinistra.

Che potrebbe a questo punto conquistare, tra qualche mese, la Regione.

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