Guerra in Israele

Le portaerei americane bloccano gli ayatollah. E Israele non si fermerà

Teheran ed Hezbollah non si uniscono ad Hamas. Pressing Usa a vuoto, Netanyahu non darà tregua

Le portaerei americane bloccano gli ayatollah. E Israele non si fermerà

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Tanto rumore per quasi nulla, almeno per ora. Il grande discorso di Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah, è stato certamente una grande delusione per Hamas e per quanti si aspettavano, mentre le piazze di Beirut guardavano Nasrallah sul grande schermo, che le facesse sventolare in un tripudio bellico contro gli ebrei, annunciando la sua entrata in una guerra totale a fianco di Hamas. Non è andata così: in una giornata in cui in Israele si sono ascoltati in un puzzle di segnali essenziali le voci di Nasrallah, del Segretario di Stato Anthony Blinken e di Netanyahu, abbiamo visto il capo del migliore proxy sciita dell'Iran comunicare soprattutto il suo nervosismo, in una pioggia di giustificazioni e di bugie. Hamas è forte, fa da solo: una giustificazione della propria assenza. In secondo luogo con tono profetico Nasrallah ha detto che non solo è in guerra già dal 7 di ottobre, ma che la sua è una guerra vittoriosa: merito suo se i cittadini del nord si sono spostati, merito suo se l'esercito israeliano è là con un terzo delle sue forze, che così non possono essere utilizzate contro Hamas. In realtà le sue armi hanno sparato sporadicamente e in modo che gli è costato la perdita di 60 delle sue forze Radwan, mentre i missili importanti restavano inutilizzati. E si che Nasrallah ne ha fino a 200mila, forniti dall'Iran. Due menzogne clamorose hanno infiorettato il discorso, quella per cui Hamas starebbe vincendo, mentre l'esercito israeliano in realtà avanza, mentre gli uomini di Hamas vengono decimati con i leader che restano nascosti. L'altra bugia è negazionista, per cui sarebbe stato l'esercito israeliano stesso a uccidere le donne e i bambini dei kibbutz. La sentiremo ripetere dalle folle che ormai gridano «morte agli ebrei» nelle piazze di tutto il mondo.

Per ora sulla scena non compare un grande fronte nord. E l'Iran aspetta. In Medio Oriente fanno paura sia la determinazione di Israele sia le portaerei Usa che hanno già fermato i missili balistici dei houti. Blinken, per la quarta volta a Gerusalemme, ha ribadito i punti fondamentali dell'alleanza «indistruttibile», ma il suo discorso ha avuto toni che segnano il passare del tempo. Gli Usa chiedono di impegnarsi di più sul terreno umanitario e legano la questione a quella della liberazione degli ostaggi. Blinken ha nominato non a caso oltre al cibo, le medicine, l'acqua e anche la benzina, che è un punto chiave perché serve a un uso bellico molto diretto e Israele rifiuta di fornirla. Blinken ha parlato anche di «pausa umanitaria» che, anche se non è tregua può aiutare Hamas a riassestare le fila. Quel che ha fatto più effetto Blinken ha accostato la sorte dei bambini israeliani e palestinesi, stabilendo un'equivalenza che dimentica che i bambini palestinesi soffrono nelle mani di chi ne ha fatto scudi umani e certo non vi è nessuna intenzione di far loro del male. Le soluzioni sono difficili, e la richiesta deve tenerne conto.

Anche Netanyahu ha preso ieri la parola per confortare e rafforzare i soldati, per ricordare i caduti, per lodarne l'eroismo. È stato un tipico antico discorso di guerra, come Ettore ai Troiani o Achille agli Achei: andare fino in fondo senza esitazioni nonostante il dolore e la difficoltà. Di «pausa» e tantomento di «tregua» non si parla. Su questo gli americani devono aspettare.

Al momento, tutta Israele sa che nessuno potrà tornare a abitare nel sud se i vicini promettono la prossima strage. E al nord la situazione è simile. Nessuno dorme a casa. Il fronte resta ancora aperto dopo il discorso del loro capo.

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