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Referendum, il premier trema e gioca subito la carta Boschi

La ministra in tour in Sicilia per difendere la sua riforma costituzionale, ma ammette: "Da sola l'avrei scritta diversamente". E avverte: "Non è un plebiscito sul governo"

Referendum, il premier trema e gioca subito la carta Boschi

Roma - La macchina referendaria del Pd si sta mettendo in moto. E tocca a Maria Elena Boschi, madrina della riforma costituzionale, lanciare la volata di quella che sarà la lunga campagna per la consultazione di ottobre.

Ieri la ministra era in tour in Sicilia, per lanciare i comitati per il sì regionali, a spiegare le buone ragioni dell'ampia revisione costituzionale da lei firmata e a incitare le truppe democrat alla mobilitazione permanente di qui all'autunno: «Saranno mesi molto belli ma anche faticosi, sarà bello andare ovunque a parlare delle ragioni del sì al referendum. Farlo nelle scuole, nei mercati, nelle piazze», dice la Boschi. È stato Matteo Renzi, all'ultima Direzione del Pd, ad annunciare che il partito sarebbe sceso per le strade in ogni comune a raccogliere le firme sotto la richiesta di referendum confermativo. Una raccolta di firme che tecnicamente non era necessaria, visto che le necessarie firme di parlamentari richieste dalla legge sono già state depositate sia dalla maggioranza che dall'opposizione. Ma il premier ha individuato nella mobilitazione capillare un ottimo strumento per svegliare dal torpore il corpaccione del partito in giro per l'Italia, rianimare le truppe attorno all'obiettivo e - di rimbalzo - alimentare anche la campagna elettorale nelle città in cui a giugno si voterà per le amministrative, scadenza che per il resto Renzi vuole tenere ben distinta dalla partita referendaria. Sulla quale, ricorda Maria Elena Boschi, il governo si gioca la propria ragione sociale: «Se i cittadini dovessero decidere con il referendum, che noi abbiamo voluto, che non sono d'accordo con questa riforma, beh: penso che sia un elemento di serietà trarre le conseguenze». E le conseguenze, ha spiegato Matteo Renzi, sono che, in caso di bocciatura «io non resterei un giorno di più a Palazzo Chigi». Questione di responsabilità, spiega Boschi: «Il nostro nuovo modo di fare politica passa anche da qui, dal mantenere gli impegni in tempi verificabili, ma anche prendere atto delle scelte dei cittadini. Noi non siamo quelli attaccati alle poltrone». La ministra delle Riforme si rende però conto del rischio di un plebiscito pro o contro Renzi, e mette le mani avanti: «Spero che chi andrà a votare a ottobre voti per il merito, non per la simpatia o l'antipatia del governo. Per fare quello avranno le elezioni politiche del 2018. Sarebbe miope dire di no a un futuro più stabile solo perché non si è d'accoro con questo governo. I cittadini non facciano questo errore». Boschi attacca i «professionisti del benealtrismo», pronti ad affondare la riforma esistente in nome di quella «perfetta», che «è quella che non si fa da 30 anni, e se respingessimo questa aspetteremmo per altri 30». Ogni grande riforma, ricorda, è frutto di compromessi parlamentari tra opzioni diverse, e anche il governo ha dovuto rinunciare ad alcune sue preferenze: «Ci sono cose che anch'io avrei fatto diversamente, se avessi potuto decidere da sola. Ognuno avrebbe voluto cambiare qualcosa: ma l'impianto funziona, e fa fare passi avanti al Paese». Critica chi si oppone per ragioni di parte: «Molti, come Salvini e Berlusconi, stanno osteggiando il referendum solo per opportunità politica», afferma. Poi rivendica il lungo approfondimento compiuto dal Parlamento: «Abbiamo fatto oltre 5.

200 votazioni sulle leggi costituzionali - sottolinea - neppure i nostri padri costituenti avevano fatto tanto».

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