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La rivolta delle toghe rosse per il rinvio della "Salvaladri"

Senza lo stop della riforma Cartabia, un imputato a Siena sarebbe libero: caso alla Consulta (grazie a un giudice di Md)

Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale
Il palazzo della Consulta a Roma, sede della Corte Costituzionale

Salvate il «decreto salvaladri». All'inizio di novembre, quando il governo Meloni decise di sospendere l'entrata in vigore della riforma della giustizia penale firmata dal ministro Marta Cartabia, dal mondo della avvocatura garantista si sollevarono molte voci in difesa del decreto del Guardasigilli di Draghi. Ora però a scendere in campo sono anche i magistrati. Anzi, un magistrato: un esponente di punta di Magistratura democratica, la corrente progressista e garantista delle toghe organizzate. L'alt deciso dalla Meloni e dal nuovo ministro Carlo Nordio alla riforma sarebbe addirittura incostituzionale. E ieri il giudice di Md sospende un processo che aveva sul tavolo, trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale perché valuti la legittimità della decisione del governo di centrodestra: una decisione dal sapore fortemente identitario, assunta per bloccare una legge che la Meloni considera l'esatto contrario del suo approccio alla giustizia sul fronte della certezza della pena.

Al centro della decisione presa ieri da Simone Spina, giudice del tribunale di Siena, c'è la norma più controversa della riforma Cartabia: quella che, rendendo una serie di reati perseguibili solo a querela di parte, avrebbe portato alla scarcerazione immediata di centinaia di detenuti, accusati di reati come il furto aggravato per la cui repressione finora non serviva la querela della vittima, ed era sufficiente la denuncia. Contro gli effetti che l'entrata in vigore della norma avrebbe scaturito erano scesi in campo tutti i procuratori generali d'Italia, che in una lettera scritta al nuovo presidente del Consiglio segnalavano l'impossibilità di raccogliere in tempo utile le querele delle vittime.

Una volta tanto, insomma, governo e magistratura sembravano allineati: e il decreto emanato a Ognissanti ha spostato al 30 dicembre l'entrata in vigore della «Cartabia», per dare tempo alle Procure di organizzarsi e anche al Parlamento di valutare eventuali modifiche da apportarle. Ma ieri a Siena, nel processo a un imputato accusato di violenza privata e danneggiamento, il suo difensore di fiducia, l'avvocato Paolo Lorenzini, ha sostenuto la tesi della incostituzionalità dello stop. Se la riforma fosse entrata in vigore - come originariamente previsto - il 2 novembre, il giudice avrebbe dovuto assolvere l'imputato, nonostante i reati non da poco che gli vengono attribuiti, perché agli atti manca la querela della vittima. Invece a causa della decisione del governo Meloni il processo sarebbe andato avanti, e l'uomo rischiava di essere condannato. A quel punto, il suo legale ha sollevato l'eccezione. E il giudice l'ha accolta.

Simone Spina è - a dispetto della giovane età - un giudice assai noto a Siena, e che in un passato anche recente ha dimostrato di essere un garantista a 360 gradi: sua la sentenza che un anno fa assolse con formula piena Silvio Berlusconi in un filone locale del caso Ruby. Ma che sia un militante di Md non c'è alcun dubbio: fa parte dell'esecutivo nazionale della corrente, i suo interventi sono su Radio Radicale. Tocca a lui l'onore di essere il primo giudice a mettere una zeppa sul cammino intrapreso dal governo di centrodestra sul fronte della giustizia.

E di innescare il primo potenziale braccio di ferro tra l'esecutivo e la Corte Costituzionale: schivato per un pelo sulla vicenda dell'ergastolo ostativo, e riproposto ora sulle manette ai ladri.

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