Cronache

Rovina di una città che viveva di turismo e fiori

Una volta meta balneare, Ventimiglia è diventata un campo di battaglia. Viaggio nella Calais di casa nostra

Rovina di una città  che viveva di turismo e fiori

Ventimiglia - Scontri tra polizia e manifestanti, con un agente morto per infarto e un migrante gravemente ferito dallo spostamento d'aria di un treno, mentre cercava di raggiungere a piedi la vicina Francia, costeggiando la ferrovia; ma anche cortei con slogan e insulti alla polizia. Il tutto in nome di una libera circolazione in Europa dei migranti, che a queste condizioni risulta più che mai impossibile.

Ventimiglia, dunque, come Calais. Una località turistica e balneare al confine con la Francia, negli anni della «Dolce Vita» conosciuta per qualche divo di Hollywood e per i regnanti del vicino Principato di Monaco, che in estate assistevano alla Battaglia di Fiori, l'unica «guerra» che si combatteva a colpi di garofano e che oggi, invece, è tristemente nota per il fenomeno dell'immigrazione clandestina, ma soprattutto per il costante «braccio di ferro», in corso ormai da un anno e mezzo tra manifestanti e polizia. Con i primi decisi a rivendicare il diritto dei migranti ad espatriare e gli altri mobilitati, a decine, per preservare un ordine pubblico in una città ormai stremata dalla fatica. E quest'ultimo fine settimana non è stato altro che una conferma.

Venerdì un fiume di 300 migranti è riuscito a sfondare il cordone di polizia e carabinieri, in servizio d'ordine al valico di Ponte San Ludovico, invadendo - chi per mare, a nuoto; chi per gli scogli o per strada - la Francia. Un'invasione subito arrestata dagli uomini della Police Nationale che è riuscita a fermare l'emorragia di stranieri, un centinaio dei quali, però, ha occupato la scogliera vicina al porticciolo di Menton Garavan. Un gesto simbolico, giunto al termine di una giornata rovente. Tutto ha inizio durante la notte, quando i No Border annunciano su Facebook che trecento migranti si stanno dirigendo verso la frontiera. Così come l'anno scorso, occuperanno la pineta dei Balzi Rossi, uno tra i siti archeologici più famosi d'Europa dove oggi si combatte una guerra in nome di diritti: invocati da una parte, ma calpestati dall'altra. Sembra una occupazione pacifica. In mattinata sale la tensione, quando sulla ferrovia a ridosso della pineta si ferma un treno regionale francese, proveniente da Ventimiglia e diretto a Nizza. Il traffico è bloccato. Presto i migranti si accorgono che un loro connazionale, sudanese, è stato investito dal treno. I soccorsi sono immediati e il giovane viene stabilizzato e portato in elicottero all'ospedale San Martino di Genova. L'opera di mediazione italiana prosegue fino alle 18 di venerdì, quando in maniera repentina scoppia la rivolta con centinaia di migranti che rompono i confini e che sembrano quasi tagliare il traguardo a braccia alzate, al termine di una lunga maratona. Impossibile fermarli, se non con l'uso dei lacrimogeni. Il giorno dopo, 140 verranno condotti nei centri di accoglienza del sud Italia per essere identificati ed espulsi. Ma chi c'è dietro tutto questo? Per la polizia non esiste ombra di dubbio. Ad aizzare i migranti, che erano stati quasi convinti a rientrare nel centro di accoglienza, sono stati i No Border. La polizia preferisce definirli come giovani dei centri sociali dell'area anarchica e antagonista. Gli stessi che sabato sera hanno tentato di entrare nella zona rossa del Parco Roja e che una volta respinti hanno attaccato la polizia, lanciando pietre e bottiglie. La rivolta è stata presto sedata, ma il bilancio è di un morto.

L'assistente capo Diego Turra, 53 anni, di Albenga (Savona), in servizio al Reparto Mobile di Genova, viene stroncato da un infarto, proprio mentre scende da un mezzo di servizio per fermare alcuni degli «antagonisti» in fuga.

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