Politica estera

Il saggio conservatore di scuola illuminista

Prima studioso che politico, non fu un cinico senza principi ma un realista tragico e concreto

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Prima di essere l'uomo politico che cambiò il corso della storia mondiale, Henry Kissinger fu un grandissimo studioso, storico e politologo al tempo stesso. La sua tesi di dottorato, pubblicata nell'edizione italiana con il titolo Diplomazia della Restaurazione (Garzanti), rappresenta una originale rilettura del Congresso di Vienna dove, dopo la caduta di Napoleone, venne ridisegnata, all'insegna del «principio dell'equilibrio» teorizzato da Metternich, la carta geopolitica dell'Europa. La figura dello statista asburgico era presentata come emblematica del modello di «statista continentale» espressione cioè di una potenza, appunto «continentale» come l'Austria-Ungheria, cui si contrapponeva quella «insulare» della Gran Bretagna rappresentata da Lord Castlereagh. A Vienna fu definito un «ordine internazionale» basato sul «concerto delle potenze» e, in certo senso, precursore del nuovo «ordine internazionale» creato con la Società delle Nazioni, prima, e con l'Onu, in seguito. Nell'analisi di Kissinger, la figura di Metternich non è quella tramandata da una persistente «leggenda nera» di un «reazionario» oscurantista quanto piuttosto quella di un «conservatore» realista cresciuto all'ombra dell'illuminismo. Il realismo politico è proprio la cifra intellettuale di Kissinger, mutuata certo da Metternich ma rivista alla luce di una attenta considerazione storica degli eventi dei secoli successivi.

L'interpretazione globale della storia moderna e contemporanea è contenuta in un'altra opera, tradotta in italiano con il titolo L'arte della diplomazia (Sperling & Kupfer), che, spaziando lungo tre secoli, costituisce un vero e proprio manuale di storia delle relazioni internazionali dall'epoca di Richelieu ai nostri giorni. Secondo Kissinger fu proprio Richelieu a introdurre nella Francia di Luigi XIII l'approccio moderno alle relazioni internazionali basato sul concetto dello Stato-nazione e motivato dall'interesse nazionale come fine supremo. Nel secolo successivo la Gran Bretagna avrebbe elaborato quel concetto di Balance of Power che avrebbe strutturato la diplomazia europea fino alla sua trasformazione nel «concerto europeo delle potenze» di metternicchiana memoria. Poi quest'ultimo sarebbe stato smembrato dalla Germania di Bismarck che avrebbe riforgiato la diplomazia europea sulla base di un cinico gioco di potenza. Nei secoli successivi, l'apparizione degli Stati Uniti sulla scena globale e l'affermazione del comunismo in Russia, prima, ed altrove, poi, avrebbero determinato il passaggio da una storia eurocentrica a una storia mondiale con tutto quello che ne seguì: dal secondo conflitto mondiale alla guerra fredda, dalla politica di «contenimento» alla «diplomazia triangolare» di Nixon propiziata proprio da Kissinger.

Il teorico della storia, ma anche della politica vale la pena di rammentare fra le ultime sue opere lo splendido Leadership. Sei lezioni di strategia globale (Mondadori) , diventa egli stesso attore e protagonista della storia mondiale facendo tesoro delle lezioni del passato e mettendo in pratica le sue teorizzazioni. Non è un caso che, scrivendo i due densi tomi di Memorie (Sugarco), Kissinger nel raccontare i fatti si lasci spesso andare alla tentazione di dar loro una giustificazione teorica.

Se lo si volesse definire con una sola locuzione si potrebbe dire che egli, come studioso, appartiene al grande filone, proprio della tradizione europea, del «realismo politico»: un filone che partendo da Machiavelli e passando per Aron giunge fino all'elitismo contemporaneo. Per lui la leadership, quale che ne sia la natura, è essenziale perché senza di essa, sottolinea, «le istituzioni vanno alla deriva e le nazioni rischiano di diventare sempre più irrilevanti e, alla fine, crollare». Tutt'altro che rivoluzionario, Kissinger è stato un conservatore, un saggio conservatore con il senso tragico della storia non a caso si è occupato da giovane di pensatori come Oswald Spengler e Arnold J.

Toynbee accompagnato da una visione pessimistica della realtà.

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