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Scandalo all'Antimafia. È scontro tra toghe rosse

Mentre s'allarga l'inchiesta sugli accessi illeciti, resa dei conti tra il capo della Dna e i predecessori De Raho e Scarpinato

Scandalo all'Antimafia. È scontro tra toghe rosse

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È saltato il tappo. Nella torbida vicenda dei «dossier fabbricati» alla Procura nazionale antimafia si gioca una seconda partita, parallela rispetto a quella principale, scoperta dai magistrati di Perugia, che puntava ad azzoppare il governo Meloni. Questa seconda partita è la resa dei conti tra le toghe rosse. Si sta consumando un regolamento tra bande di magistrati politicizzati.

La Procura nazionale antimafia, negli ultimi venti anni, è stato un fortino delle toghe militanti. Da Pietro Grasso a Giovanni Melillo: quella poltrona ha sempre seguito un filo rosso. L'inchiesta della Procura di Perugia sugli accessi abusivi del Tenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano è il detonatore di uno scontro tutto interno alla magistratura di sinistra.

Giovanni Melillo, ex capo di gabinetto dell'allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, nelle due audizioni in Parlamento, al Copasir e all'Antimafia, ha puntato il dito contro i magistrati che l'hanno preceduto alla guida dell'Antimafia nazionale: Federico Cafiero De Raho, attuale deputato del M5s, e Franco Roberti, europarlamentare del Pd. Anche se non esplicitamente, Melillo fa capire (e trapelare) che prima del suo arrivo alla Procura nazionale antimafia, si operava a «briglia sciolta». «Con indagini a strascico senza notizie di reato».

Un atto d'accusa pesantissimo che colpisce soprattutto la gestione De Raho, più che quella di Roberti. Chiamato a rispondere in commissione antimafia, l'ex braccio destro di Orlando è stato più esplicito: «Le condotte di Striano mi paiono difficilmente compatibili con la logica della deviazione individuale. Credo ci siano molti elementi che confliggano con l'idea di un'azione concepita e organizzata da un singolo ufficiale ipoteticamente infedele. Uno dei punti centrali della procura di Perugia sarà comprendere la figura e il sistema di relazioni di Striano. É una mia personale valutazione. Ma ho una discreta esperienza anche come vittima di autentici dossieraggi abusivi come quelli ritrovati negli archivi paralleli della sede Sismi affidati a Pio Pompa nel 2006» ha detto Melillo.

Parole che suonano come un colpo basso al collega De Raho che oggi siede in Parlamento tra i banchi del M5s e che ha guidato l'Antimafia prima di lui. La difesa di De Raho spetta a un altro ex magistrato: Roberto Scarpinato, in passato una toga rossa e oggi senatore grillino. L'ex procuratore di Palermo getta il sasso nell'intervista di venerdì a La Stampa: «Melillo, divenuto capo della Procura nazionale antimafia, ha confermato nel suo ruolo il tenente Pasquale Striano». Ecco la contro-accusa. «Con Melillo all'Antimafia non è cambiato nulla», lascia intendere tra le righe il magistrato, oggi collega di partito di De Raho.

É una rissa tra i pm rossi. L'attuale capo della Dna Melillo non accetta l'insinuazione e ribatte con una lettera di precisazione a La Stampa: «Il senatore Scarpinato sostiene che io, assunte le funzioni di Procuratore nazionale Antimafia, avrei confermato nel suo incarico il sottotenente Striano. Vorrei segnalare la siderale lontananza di tale affermazione dalla realtà, come tale rappresentata anche nel corso dell'audizione in commissione Antimafia, alla quale il senatore Scarpinato risulta aver partecipato».

Un botta e risposta che registra il clima di tensione che si respira adesso nel mondo della magistratura rossa. Per ora, Roberti e Grasso si tengono defilati. Ma nella partita dello scaricabarile potrebbero presto essere chiamati a rispondere.

In quanto toghe rosse.

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