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Schlein regina di un partito vuoto. E a incoronarla sono gli elettori delle altre forze

Schlein regina di un partito vuoto. E a incoronarla sono gli elettori delle altre forze

Il primo giorno di scuola da segretaria Pd è tutto selfie, omaggi, pacche sulle spalle e strette di mano.

Elly Schlein arriva alla Camera, dove ieri si discuteva il decreto Ilva, e viene subito circondata: dai parlamentari dem, ovviamente, che le dedicano anche un mini-applauso, ma anche da quelli di altri partiti. In particolare Cinque Stelle e Rosso-Verdi, a testimonianza del fatto che la sua elezione viene vista come un drastico riposizionamento a sinistra. Con M5s in fibrillazione, perché il Pd schleiniano compete sul suo stesso terreno e già Conte cala bruscamente nei sondaggi.

E del resto i numeri parlano chiaro. I numeri assoluti delle primarie: Schlein ha preso 587mila voti, vincendo. Dieci anni fa, Gianni Cuperlo e Pippo Civati (dalla cui corrente arriva la neo-segretaria), che rappresentavano la «sinistra» contro il riformista Matteo Renzi, ne presero rispettivamente 510mila e 399mila. Persero clamorosamente, contro i quasi due milioni del Rottamatore, ma quelle cifre stanno a testimoniare che c'è uno zoccolo duro gauchiste che sopravvive al progressivo svuotamento del Pd. Ancor più clamorosi sono i numeri dei «flussi elettorali» della scorsa domenica, elaborati da Noto Sondaggi: appena la metà dei votanti alle primarie aveva votato Pd alle elezioni politiche di settembre, e quasi un quarto di loro aveva votato M5s. Insomma: il popolo «storico» del Pd sembra in via di fuga e domenica, in gran parte, è stato a casa (o ha votato Bonaccini), mentre la nuova leader del partito è stata eletta col voto determinante di gente che vota e milita in altri partiti. Una sorta di invasione degli ultracorpi, un surreale paradosso che - passata l'euforia della vittoria - preoccuperà parecchio i più lucidi tra gli schleiniani.

Perché se il partito diventa un guscio vuoto, se quadri, militanti, iscritti e elettori storici (quelli che avevano fatto vincere di larga misura Stefano Bonaccini nel congresso) si sentono spodestati dalle decisioni di esterni e addirittura avversari elettorali del Pd, l'effetto sul medio periodo può essere pericoloso.

Anche per questo la nuova leader sta cercando il modo per coinvolgere la nutrita minoranza bonacciniana nel governo del partito. Ma evitando volti noti e dirigenti stagionati, disinnescando l'abbraccio delle correnti che battono cassa (del resto dirigenti come Franceschini, Zingaretti, Majorino hanno portato in dote regioni chiave come Lazio e Lombardia, e si aspettano gratitudine) e scegliendo nel segno del nuovismo: giovani, donne, qualche esterno. La scelta più difficile sarà quella dei capigruppo. Scelta sulla quale fare concessioni alla minoranza è escluso: in quelle cruciali postazioni servono persone fidate (ne sa qualcosa Matteo Renzi, che da segretario subì la fronda continua del capogruppo Speranza), e sono in molti a scalpitare: da Michela Di Biase a Francesco Boccia a Chiara Gribaudo. Fino all'Assemblea nazionale del 12 marzo, con l'investitura ufficiale di Schlein, si lavorerà col bilancino alla squadra.

Ma la vera prova politica sarà sull'Ucraina, e sul rischio di cedimenti alle sirene «pacifiste» e anti-Kyev: «È una linea rossa oggettiva - avverte Enrico Borghi - è fondamentale che venga confermata e garantita la vera identità di un partito di sinistra di governo in un paese occidentale».

Con un invito alla neo-segretaria a ispirarsi alla linea della finlandese Sanna Marin: socialdemocratica, certo, ma fervidamente pro-Nato e pro-Zelensky.

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