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Il sogno dei frondisti dem: coalizzarsi con Gentiloni

Riformisti e cattolici guardano a lui per defenestrare Elly in caso di ko alle Europee. E lei sogna di esiliarlo

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I cattolici del Pd giocano la «carta Gentiloni» per riprendersi il partito. Elly Schlein corre ai ripari: «Ho in mente un grande ruolo per Paolo». Una mossa, quella segretaria, che punta a neutralizzare le manovre del commissario Ue. Schlein immagina per «Er Moviola» un incarico nel Pd come responsabile dei rapporti con tutti gli altri partiti della famiglia dei socialisti europei. Insomma, una specie di «esilio» lontano dall'Italia e dal Nazareno. Un piano che si scontra però con l'operazione già in corso tra le varie correnti del Pd. In testa c'è il gruppo più numeroso, quello di Base Riformista, guidato da Lorenzo Guerini che punta tutte le fiches sul rientro in Italia dell'ex premier per spodestare, all'indomani delle Europee, la segretaria. E spostare, dunque, il baricentro del partito verso il centro. Ma è lo stesso Gentiloni che non ha alcuna intenzione di fare il pensionato. L'altro correntone che scommette sul nome del commissario Ue è quello che fa capo al governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini: la corrente è stata ribattezzata Energia Popolare e può contare sull'appoggio al Sud dei due cacicchi Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, rispettivamente governatori di Campania e Puglia. Piace l'idea Gentiloni anche agli ex lettiani (che dopo il congresso si sono accordati con Schlein). Ed infine Er Moviola avrebbe il sostegno di cani sciolti come Nicola Zingaretti e Piero Fassino. Nel Pd i caminetti sono ufficialmente ripartiti. Nel frattempo la segretaria porta il suo gruppo nella spa di Gubbio (18 e 19 gennaio) per affiatare la squadra in vista del voto in primavera. Resta per ora alla finestra Dario Franceschini. Tutto dipende dall'esito delle elezioni europee. Se il Pd di Schlein scende sotto il 20, si apre il processo alla leader. Ed è proprio sul voto del 9 giugno prossimo che al Nazareno si sta giocando una partita decisiva. Che riguarda la candidatura di Elly Schlein.

Ieri si è fatto sentire Romano Prodi: il padre politico di Schlein, dagli studi di Formigli, ha suggerito alla sua creatura di non candidarsi. Stesso appello dalle pagine dell'Unità arriva da Paola De Micheli. Ma la segretaria non ne vuole sapere di raccogliere i suggerimenti. Schelin è orientata al sì. Vuole scendere in campo. Fiuta l'odore della trappola. Teme che il Pd, senza la candidatura della leader, possa scendere sotto il 20. A quel punto la minoranza avrebbe gioco facile per aprire il congresso. Schlein è certa di portare al Pd un valore aggiunto almeno di due punti percentuali. Vuole metterci la faccia. Il ritorno in pista di Gentiloni riaccende il dibattito anche fuori dal Nazareno. E se fosse lui il federatore? «Gentiloni leader del centro sinistra allargato a Matteo Renzi? Per definire una leadership bisogna avere chiarezza sui contenuti. Non c'è un Mosè che faccia attraversare il Mar Rosso a quello che non sa neppure come definirsi, se centro sinistra o campo progressista, e che è ancora schiavo del faraone d'Egitto», dice a Rainews24 il senatore Enrico Borghi, capogruppo di Italia Viva al Senato. «Cosa c'entra - si chiede Borghi - con il progressismo Giuseppe Conte, che non vede l'ora che alla Casa Bianca torni Trump, che ha votato contro il Mes, in contrasto con una idea di riformismo europeo su cui il centro sinistra ha costruito la sua identità, da Prodi in poi? Per non parlare dell'Ucraina. Questo è il tema che poniamo al Pd: scelga, altrimenti rischia di fare come l'asino di Buridano».

Più possibilista sull'opzione Gentiloni è Carlo Calenda. Il leader Conte non chiude le porte all'ipotesi di un padre del campo largo. Ma ogni discorso è rimandato a dopo il voto per le Europee.

Passaggio dove Conte spera di tallonare il Pd.

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