Politica

«Sulla Sea Watch c'è il rischio di epidemie»

Appello dei medici per i 32 migranti a bordo. La «Sea Eye» ripara in acque maltesi

Chiara Giannini

L'appello arriva dall'equipaggio della Sea Watch, la nave della omonima Ong tedesca che da 10 giorni vaga per il Mediterraneo con a bordo 32 persone, soccorse in mare.

«La nostra nave - spiegano in un video pubblicato su Twitter - non è attrezzata per ospitare le persone per un lungo periodo. La Sea Watch è progettata per il soccorso medico e per la prima assistenza. Al momento i migranti stanno bene, ma i rischi aumentano, dalle possibilità di contrarre malattie alla carenza di approvvigionamenti». La preoccupazione dei medici di servizio sull'imbarcazione sale di ora in ora, tanto che lunedì scorso è scesa in campo anche l'Unhcr, che ha chiesto soluzioni rapide all'Europa affinché l'emergenza possa rientrare.

Al momento, oltre ai naufraghi della Sea Watch, si trovano in mare anche 17 migranti recuperati lo scorso 29 dicembre dalla Sea Eye. E anche la «Professor Albrecht Penck» della Ong tedesca Sea Eye, con 17 migranti salvati lo scorso 29 dicembre, secondo quanto riferito dalla Lifeline, Ong di Dresda, «è entrata nelle acque territoriali di Malta».

L'Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati ha quindi inviato un appello agli Stati europei affinché possano far sbarcare gli immigrati dalle due navi su cui vi sono anche donne e bambini piccoli. «Il tempo stringe - scrivono dall'Unhcr -, per le prossime ore si prevede mare mosso ed è probabile che le condizioni a bordo delle due navi si deterioreranno». Mentre Vincent Cochetel, inviato speciale dell'agenzia per il Mediterraneo, chiarisce che «è necessaria una leadership decisa, in linea con i valori fondamentali di umanità e compassione, per offrire condizioni sicure di sbarco e portare a terra i 49 in sicurezza. I negoziati per capire quali Stati li accoglieranno - prosegue - dovranno avere luogo solo dopo che le persone soccorse siano al sicuro a terra». Si fa anche presente che nonostante la riduzione del numero degli arrivi, nel 2018 sono state 2.140 le persone morte o disperse in mare. Ecco perché per l'Unhcr il lavoro delle Ong è da elogiare. «Nel 2019 - dicono - c'è un bisogno sempre più urgente di mettere fine all'approccio 'nave per nave' attualmente in uso, ed è necessario che gli Stati adottino un accordo regionale che permetta ai capitani di sapere con chiarezza e prevedibilità dove far sbarcare i rifugiati e i migranti soccorsi nel Mediterraneo».

Qualche dubbio, però, sorge. Secondo i dati forniti dal Viminale, infatti, nel 2018 sono sbarcati sulle coste italiane 23.370 migranti, contro i 119.369 del 2017 e i 181.436 del 2016. Attualmente l'Italia è tra i Paesi a cui è chiesto uno sforzo maggiore degli altri. Sono, infatti, inseriti nel sistema di accoglienza (e, quindi, mantenuti dallo Stato), 135.858 migranti, di cui la maggior parte ospitati dalla regione Lombardia (18.582), seguita dal Lazio (12.249), dalla Campania (11.962) e dall'Emilia Romagna (11.354).

Ciò che sorprende è che la maggior parte dei 23.340 migranti sbarcati in Italia nel 2018 proviene da Paesi in cui non c'è la guerra, anche perché grazie all'impegno del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, la situazione libica risulta tuttora sotto controllo. Le nazionalità dichiarate allo sbarco parlano chiaro: 5.181 tunisini, 3.320 eritrei, 1.744 iracheni, 1.619 sudanesi, 1.589 pakistani, 1.250 nigeriani, 1.213 algerini e a seguire persone di altre nazionalità.

Anche per questo i porti italiani restano chiusi alle navi delle Ong, accusate di essere conniventi con i trafficanti di esseri umani.

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