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Il Super Bowl, specchio d'America: divisa come mai, ma in fondo unita

La battaglia sportiva tra Patriots e Falcons è stata un trionfo dell'individualismo e uno show di graditissimi effetti speciali

Il Super Bowl, specchio d'America: divisa come mai, ma in fondo unita

È così eccitante e anche doloroso provare a contenere lo spirito dell'America festosa, nostalgica, e profonda come un pozzo troppo profondo e troppo illuminato. Per capirlo, bisognava fermarsi domenica notte a guardare Lady Gaga che, dopo aver volato cantando alle stelle in una tuta da sexy astronauta per spiegare anche a sua nonna, che la guardava dal divano di casa, che essere americano vuol dire condividere nella propria anima ciò che nessun essere umano di alcun paese del mondo può contenere: la molteplicità caleidoscopica della speranza, del coraggio, della follia, della pubblicità e dell'istinto allo show, di quel che nell'inno diventa «the land of free and the home of the brave», la terra degli uomini liberi e la patria dei coraggiosi.

Il Super Bowl ha colpito come una bomba di effetti speciali, coriandoli e lacrime l'America in festa e il mondo intero domenica notte, quando ogni ragazzo e ragazza, ogni essere umano di ogni età, ha condiviso con gli altri il miracolo della grande landa in cui sono tutti patrioti, di destra o di sinistra e in cui tutto esplode quando Tom Brady, il quarterback del New England Patriots, ha stracciato quasi da solo in rimonta gli Atlanta Falcons. Lady Gaga volava intanto nei cieli immaginari di un'America tornata Superwoman: Matt Ryan faceva volare la palla ovale come se parte del suo spirito quando i Patriots temevano di aver perso tutto in una tempesta di errori demenziali che sembravano irrecuperabili. Il padrone dei Falcons, Arthur Blank, era sceso in un intervallo fra i suoi giocatori per celebrare troppo in anticipo una vittoria che si sarebbe liquefatta di lì a poco.

In cielo volavano sulle note dell'inno nazionale sei magnifici aerei Thunderbirds con le loro code colorate. Migliaia di tonnellate di pizze, di hot dog, di patatine fritte, ettolitri di Coca Cola e birra Budweiser (il Super Bowl fu creato da un tedesco, come la famosa birra nazionale) passavano attraverso i corpi bianchi e neri, asiatici e latini, europei e russi, africani e latini. Tutto ciò faceva dimenticare o passare in second'ordine le vicende politiche di Trump e dei suoi sfortunati executive orders? No, naturalmente: il re è rimasto quasi solo, non fosse per il suo vice Mike Pence che ha seguitato a dargli ragione, uno contro tutti.

Mentre la Coca Cola mandava in onda uno dei suoi più spettacolari spot pubblicitari (il Super Bowl è anche una mostra della genialità pubblicitaria) che esaltava proprio il sangue misto, il meticciato, alla Casa Bianca si svolgeva un summit in cui i pochi ammessi primo fra tutti il Super Genero Jared Kushner l'aitante e super ebreo marito della bellissima Ivanka Trump spiegavano al neopresidente che la sua nuova posizione non gli permette di fare esattamente quel che gli pare, perché gli Stati Uniti sono anche una foresta di regole, di autonomie gelose, di magistrature locali e federali, di corpi armati, polizie, associazioni, lobby, ricorsi alla Corte Suprema e dunque non è così facile dare ad un giudice federale ma ostile del «cosiddetto giudice», perché poi vanno in bestia tutti. Trump era durante il Super Bowl distratto e stranamente mansueto perché si è reso conto, secondo alcuni funzionari della Casa Bianca, che qualcuno deve pur avvertirlo quando la spara troppo grossa.

Anche per questo il Super Bowl è la festa di quell'elemento che lega alla fine tutti gli americani anche se su fronti opposti e con posizioni fra loro odiate ed odiose. Trump è un maestro del disprezzo e persino verso il suo stesso Paese, come si è visto quando gli hanno chiesto se sapeva che Putin è un killer. La sua risposta non è stata «Non è vero». Ma invece: «And so what? E allora? Cosa credete, che l'America sia innocente?». Mai uomini e presidenti di destra come Ronald Reagan, Richard Nixon o George Bush avrebbero usato parole simili che spaccano in due il Paese. Il Super Bowl è una cura di collagene e botox americano, come quando da noi in Italia stava per scoppiare la guerra civile nel 1948 dopo l'attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti e il ciclista Gino Bartali vinse il Giro di Francia.

L'Italia intera ebbe allora il suo Super Bowl, l'evento sportivo unificante con una carica identitaria sufficiente per far restare in piedi una nazione.

Il Super Bowl non è neppure come la finale del nostro campionato, perché è un duello, perché evoca i super eroi, perché è la festa dei record battuti, è un Festival di San Remo, è il trionfo anche di tutto ciò che noi europei consideriamo pacchiano proprio perché americano.

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