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La svolta (all'indietro) del Pd. Ecco la squadra della Schlein

Il malessere nel partito: "È un'Opa esterna". Rischio scissione, Elly rassicura: "Lavoro per la massima unità"

La svolta (all'indietro) del Pd. Ecco la squadra della Schlein

I piccoli segnali della «svolta» (all'indietro) si susseguono, goccia a goccia. Ad esempio c'è il neo-eletto segretario della Toscana, il deputato Emiliano Fossi, che annuncia di aver appeso al muro del suo ufficio due cose: un ritratto di Berlinguer (in effetti Togliatti sarebbe stato un po' troppo vintage) e «una bandiera arcobaleno». Vessillo di tutti coloro che vogliono disarmare la Resistenza ucraina.

Lievi slittamenti culturali e politici, che rischiano di sommarsi e portare il Pd su una rotta diversa. A cominciare da un punto fondamentale: la «pacifista» Elly Schlein terrà la linea filo-Ucraina, atlantica e europeista del suo predecessore o cederà alla sirene anti-Kyev? «Senza un sostegno privo di ambiguità all'Ucraina - avverte ad esempio il siciliano Fausto Raciti - non ci sono più i valori fondanti del Pd. Su questo in molti vorremmo essere rassicurati».

Persino Rosi Bindi, pur simpatizzante di Schlein, le rimprovera il sorprendente silenzio su un tema epocale come l'Ucraina. Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori manda un avviso chiaro: «Schlein terrà la linea Letta sull'Ucraina o no? Sarà pragmatica sul lavoro che non è solo difesa dei salari ma anche creazione di lavoro o no? Se sarà così il Pd sarà il mio partito. Le faccio molti auguri, ma vedo anche dei rischi». Rischi pure interni, di tenuta: l'ala riformista del Pd, che aveva puntato tutto su Stefano Bonaccini, è ancora tramortita dalla sconfitta inaspettata, per ora tende la mano chiedendo una «gestione unitaria» del partito. Ma il malessere cova profondo, perché la vittoria di Schlein è anche la vittoria di una «Opa esterna» (copyright Guerini) della sinistra radical e vetero, a cominciare dagli scissionisti di Articolo 1, ma non solo: «La differenza - raccontano molti di quelli che erano presenti ai seggi - la ha fatta l'afflusso organizzato di gente che mai ha votato Pd: rosso-verdi, grillini, post-comunisti, Cgil, movimenti vari». E lo spostamento a sinistra del Pd è nei fatti: ne prende atto ad esempio Beppe Fioroni, che taglia i ponti col partito: «É fine di un ciclo politico: non è più il Pd che avevamo fondato e prendo atto della marginalizzazione dell'esperienza cattolico democratica». Quanti lo seguiranno?

Per ora, almeno nei gruppi dirigenti, nessuno. Ma nei prossimi mesi lo stillicidio delle uscite potrebbe iniziare. Ne è consapevole anche la stessa neo-segretaria, che infatti nel primo giorno di scuola (ieri è andata al Nazareno per il «passaggio di consegne» con Enrico Letta, che le ha regalato un melograno di coccio), tende la mano a una minoranza che, comunque, ha vinto di larga misura tra gli iscritti al Pd. «Il massimo sforzo di questi giorni -annuncia - sarà quello di lavorare per la massima unità di questo partito. La mia responsabilità è proprio tenere insieme questa comunità». E per «tenerla insieme» occorre una oculata distribuzione dei (pochi) posti. A cominciare dai capogruppo: prenderà tutto Schlein o medierà? I nomi già circolano: alla Camera spera Michela De Biase (in Franceschini), al Senato scalpita Francesco Boccia. Ma anche Cecilia D'Elia e Giuseppe Provenzano sgomitano. Al Parlamento europeo il lombardo (trombato alla Regione) Pierfrancesco Majorino sostituirebbe Brando Bonifei. La segreteria sarà «unitaria», e pletorica: ci sarà quindi qualche bonacciniano, oltre ai «volti nuovi» di Elly: le sagaci sardine Jasmine Cristallo e Mattia Santori («Elly sa riconoscere i talenti», è la sua esilarante autopromozione, Alessandro Zan dell'omonimo ddl, giovani comunisti alla Marco Sarracino. E poi un presidente: di garanzia», si dice.

E due nomi girano: Stefano Bonaccini e lo stesso Letta.

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