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Tregua a Gaza, gli Usa mollano Israele

Stati Uniti astenuti: sì al cessate il fuoco immediato. L'ira di Netanyahu: "Non ci fermeremo"

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La prima risoluzione delle Nazioni Unite «per un cessate il fuoco a Gaza durante il mese di Ramadan, che porti a un cessate il fuoco duraturo e sostenibile», approvata ieri dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu dopo mesi di veti incrociati, soffia solo sulla carta a favore di una tregua nella Striscia di Gaza. Il documento fa infuriare Israele e allarga il solco con gli Stati Uniti, che finora hanno fatto scudo a Israele, pur chiedendo da tempo più tutele per i civili. Con 14 voti a favore su 15, inclusi i sì dei membri permanenti come Cina e Russia che nei giorni scorsi avevano bloccato una risoluzione proposta dagli Usa, il testo è stato approvato con la sola astensione di Washington, che ha deciso di non porre il veto come avvenuto in precedenza su altri testi, anche perché la risoluzione stavolta non contiene la richiesta di stop «permanente» ai combattimenti.

Gli Stati Uniti hanno giustificato la loro astensione spiegando di non poter accettare un testo in cui non si condanna Hamas per gli attacchi del 7 ottobre, ma anche di non averlo osteggiato perché lega la richiesta di sospensione del conflitto alla liberazione degli ostaggi israeliani ancora in mano ai terroristi a Gaza, a 171 giorni dal rapimento. Ma il mancato veto degli Usa è bastato a Israele per decidere di annullare la missione di alto livello, composta dai più stretti consiglieri del primo ministro Benjamin Netanyahu, attesa in questi giorni negli Stati Uniti per parlare della crisi, inclusa l'annunciata offensiva di terra su Rafah, nel sud della Striscia, un'invasione promessa da Israele per sconfiggere Hamas, ma che è diventata il principale pomo della discordia fra Joe Biden e Netanyahu. Il messaggio a Washington è stato recapitato forte e chiaro attraverso l'ufficio del premier israeliano: «Gli Stati Uniti - spiega un comunicato - si sono ritirati dalla loro posizione coerente in seno al CdS, dove solo pochi giorni fa avevano stabilito un collegamento tra il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Questo ritiro danneggia sia lo sforzo bellico che quello per la liberazione degli ostaggi, perché dà ad Hamas la speranza che la pressione internazionale gli permetta di accettare un cessate il fuoco senza la liberazione degli ostaggi». Il concetto è stato ribadito dal ministro della Difesa Gallant, in visita negli Stati Uniti per discutere degli sviluppi militari, di ostaggi e aiuti nella Striscia. Israele «non ha il diritto morale di fermare la guerra fino al ritorno di tutti gli ostaggi nelle loro case», ha aggiunto Gallant prima dell'incontro con il consigliere per la sicurezza Usa, Jake Sullivan e il segretario di Stato, Antony Blinken.

La Casa Bianca si è detta «delusa» dalla decisione israeliana di annullare la missione negli Usa, ha spiegato che l'astensione non vuol dire «un cambio di politica» e insistito sul sostegno al cessate il fuoco come parte di un'intesa complessiva sugli ostaggi. Ma l'ambasciatore d'Israele all'Onu, Gilad Erdan, è «disgustato»: «È la prova che il sangue degli israeliani è economico».

La risoluzione rischia di compromettere l'accordo per una tregua, mentre si continua a trattare per i rapiti. La comunità internazionale elogia la richiesta di interrompere la guerra, l'Unione europea chiede «l'attuazione urgente» del cessate il fuoco, ma la distanza fra le parti in conflitto resta difficile da colmare. Hamas si rallegra e si dichiara subito pronta allo scambio di prigionieri, ma continua a chiedere un cessate il fuoco permanente e il ritiro da Gaza.

Israele insiste tramite il ministro degli esteri Israel Katz: «Non cesseremo il fuoco fino al ritorno degli ostaggi».

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