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Vendette, caos in Aula rimpasti e addii: dalla Brexit a oggi una lunga via crucis

Dal referendum sull'uscita dall'Unione europea nel 2016, il Regno Unito ha conosciuto un'insolita turbolenza politica. Che prosegue senza sosta

Vendette, caos in Aula rimpasti e addii: dalla Brexit a oggi una lunga via crucis

Dopo il referendum sulla Brexit, il diluvio. Sono passati sei anni dal voto per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, ma quel 2016 si conferma uno spartiacque nella storia di Londra, l'inizio di un terremoto politico le cui scosse di assestamento continuano a far sentire oggi le loro conseguenze, dalle dimissioni di Boris Johnson, il re dell'addio alla Ue, al referendum sulla secessione della Scozia, promesso di nuovo da Edimburgo appena qualche giorno fa.

Quattro premier in sei anni ora che in autunno (e forse anche prima) arriverà un nuovo inquilino a Downing Street, dopo BoJo - sono un bilancio pesante anche per le nazioni più politicamente travagliate, figurarsi per il Regno Unito che è sempre stato un faro di stabilità e buon governo. E nel mezzo di questi sei anni, la Gran Bretagna ha restituito lo spettacolo di un Parlamento nel totale caos politico per mesi, uno show fatto di rimpasti di governo, dimissioni, voti di sfiducia, elezioni anticipate e lo spettro dell'indipendenza di Edimburgo che aleggia ancora attorno al cielo di Londra, a distanza di otto anni dal primo referendum sulla secessione. Da quel 2016 referendario, insomma, la Gran Bretagna non è più il Paese a lungo conosciuto, faro di decenza politica per come lo si era sempre conosciuto. Da sei anni è un sali e scendi sulle montagne russe. Le liti interne alla maggioranza, le lotte per la premiership, gli accoltellamenti politici e quelli reali (nel 2016 si è consumata l'uccisione della deputata Jo Cox e l'anno scorso quella del deputato David Amess) si susseguono a un ritmo mai visto prima. La politica è diventata particolarmente tossica. E il Covid ha giocato la sua parte nel mettere a dura prova il sistema. Gli ex premier David Cameron e Theresa May hanno dovuto navigare, e sono infine annegati, nelle acque del post-referendum. Boris è stato l'unico dei tre a sopravvivere al tumulto e a prendersi il merito di traghettare il Regno Unito fuori dall'Unione europea. Ma il conto che il partito ora gli chiede di pagare, seppur apparentemente legato al caso Pincher, è anche la somma di una serie di ripicche e malumori accumulati dal referendum sulla Brexit e montati con la crisi del coronavirus e altre questioni. Parte dei deputati conservatori e dei membri del governo non riesce più a giustificare davanti agli elettori le bugie, gli errori di valutazione e la sfrontatezza esibiti durante l'emergenza sanitaria, oltre che in occasione degli scandali e delle crisi che in questi ultimi mesi si sono succeduti, dalla ristrutturazione di Downing Street al caos degli approvvigionamenti di benzina e altri beni causato dalla Brexit, fino alle consulenze d'oro e ai recenti palpeggiamenti inappropriati. I Laburisti propongono già un voto di sfiducia per impedire a Johnson di restare in carica fino all'autunno. Nel Partito Conservatore è cominciata la guerra interna perché Boris lasci la poltrona subito. E qualcuno parla già di elezioni anticipate, che sarebbero le quarte in 7 anni. C'è il rischio che, alla peggio, riparta un nuovo psicodramma nazionale, alla meglio si riparta con feroci sfide politiche sulla pelle dei cittadini.

E con l'addio dell'uomo della Brexit, torna di nuovo in campo il tormentone chiamatelo pure incubo o maledizione - dell'addio alla Ue. Il premier irlandese Martin definisce «un'opportunità» le dimissioni di BoJo. La premier scozzese Sturgeon esprime «sollievo perché il caos degli ultimi mesi finirà». Lord Heseltine, conservatore pro-Bruxelles, avverte: «Se Boris se ne va, anche la Brexit se ne andrà». Ed è facile capire perché, in questi anni più che mai, il Paese si sia stretto attorno alla Regina, che ha appena festeggiato i 70 anni di Regno. Nel mezzo di turbolenze politiche, lacerazioni, e la minaccia di una possibile secessione, la bussola del Paese è stata soprattutto lei, Elisabetta II. «Il tempo mette ognuno al proprio posto. Ogni Re sul suo trono.

E ogni pagliaccio nel suo circo».

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