Cultura e Spettacoli

Ma quale iconoclasta Il dito medio di Cattelan si rivela tradizionalista

N on si può parlare del Dito senza partire dal «sito». La statua ciclopica di Maurizio Cattelan, svelata a un gruppo sparuto di milanesi sotto una pioggia torrenziale - lei sì situazionista - si inserisce in realtà nel mainstream della tradizione italiana dei monumenti di piazza. Posizionata davanti a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, interagisce con l’architettura del 1931 in maniera che si rifà più all'estetica barocca che a un qualche assunto iconoclasta. Il gesto del dito medio, depotenziato e liofilizzato dall’immaginario pop al punto da comparire sulle copertine dei magazine trendy -e che pure ha fatto discutere per mesi tutta la città - sarà anche rivolto contro il simbolo del potere finanziario, ma dialoga con gli edifici di Piazza Affari in maniera non così diversa dalla fontana di Bernini con la chiesa di Sant’Agnese in Agone del Borromini in piazza Navona. Anche l’intento scopertamente scenografico è evidente, se è vero che il palmo della mano è rivolto verso la facciata, e dunque il gesto del dito medio è studiato in maniera da essere letto da chi si pone di fronte al Palazzo della Borsa. Cattelan potrà anche dichiarare - dopo aver disertato l’incontro con gli studenti di Brera - che si tratta di «un dito rivolto verso l’immaginazione», quasi dovesse indicare l’invisibile o il divino, come il San Giovanni Battista «pollastrone» di Leonardo, ma in realtà ha approntato la più formalista delle installazioni site specific.
È tutto qui, dunque, lo «scandalo» che ha chiamato a raccolta, in un dibattito in cui sembra condensarsi l’essenza volatile del sistema dell’arte contemporanea, sostenitori e detrattori dell’artista padovano. Di fronte a un intirizzito Francesco Bonami, avremmo potuto dire «Questo lo poteva fare anche Domenico Rambelli». Come nei migliori casi di eterogenesi dei fini, il ditone di Cattelan ci sembra infatti intercambiabile con il monumento a Francesco Baracca che sta sulla Piazza fascistissima di Lugo, o coi moncherini di statue colossali che giacciono parcheggiati nei cortili dei musei archeologici, vegliati dalle pennichelle dei custodi.
Per l’ex «ragazzo terribile» quello delle cartoline di Natale in cui la stella a cinque punte delle BR si trasformava in una cometa fissata sulla testa di Aldo Moro, questa prima mostra milanese segna dunque un altro passo verso un’inesorabile normalizzazione. E non è un caso che l’anteprima della mostra di Palazzo Reale si sia consumata in discussioni sulla disposizione delle tre opere superstiti (inizialmente ne erano previste dieci) nella Sala delle Cariatidi. Cattelan alla fine è riuscito a ottenere che il Tamburino venisse esposto nella stessa sala de La nona ora, la scultura in cui si vede Papa Wojtyla seppellito da un meteorite, e della Crocifissione di donna (in realtà piuttosto isolata e lontana dalle altre due opere). L’intento è forse quello di ricomporre un’ipotesi di «Sacra Famiglia» che risponda ai sempre più precari equilibrismi tra provocazione e politicamente corretto del suo autore. Un padre schiantato, una madre martire e un figlio a metà tra Günter Grass, la «Guerra dei Bottoni» e una canzone dei Baustelle. Un pasticcio «pop-Novecento», insomma, una riflessione accademica fuori tempo massimo contro una certa idea ormai archeologica dell’ideologia.
A forte rischio di musealizzazione - se a un artista propongono una mostra a Milano nel periodo delle sfilate di moda dovrebbe iniziare a preoccuparsi - Cattelan sembra ormai lontano da quel dominio sadico del dispositivo dell’opera che lo aveva portato a realizzare i bambini impiccati all'albero di Piazza XXIV Maggio. Era il 2004, e la sera stessa dell’inaugurazione un uomo armato di seghetto s’arrampicò sulla pianta per rimuovere l’immagine di quella forca. Da insostenibile (il tanghero, che si guadagnò due mesi di prigione, disse di averlo fatto perché non reggeva la visione dell’opera) a potabile, ridotta a gioco di società per signore bene, l’opera di Cattelan è sempre più attenta al contesto (e dunque alla sua posizione nel mondo) che al bersaglio. Lo avesse realizzato oggi, il Papa schiacciato dal meteorite (che invece è del 1999), potremmo (al posto degli sproloqui su possibili allusioni alla pedofilia dell’accostamento Papa-Tamburino), parlare di un’allusione alla condizione d’impotenza dell’artista, schiacciato dal suo ruolo e dalla «Chiesa-sistema» dell’arte. Anche questo però l’aveva già fatto Bacon, e prima di lui Velázquez, caro Cattelan, nostro adorabile conformista.

Sino al 24 ottobre la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale ospiterà la mostra «Contro le ideologie» di Maurizio Cattelan. Fino al 3 ottobre, in piazza Affari, rimarrà esposta un’altra opera dell’artista, la scultura L.O.V.E.; Orari Da lunedì a venerdì 17.00-22.30, Sabato 9.30-22.30, Domenica 9.30 - 19.30 Biglietti 5 euro. Per info:www.comune.

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