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Quando la badante non torna dalla vacanza

Sono oltre un milione in Italia ad occuparsi degli anziani. E se non rientrano dalle ferie è un incubo...

Quando la badante non torna dalla vacanza

«Buongiorno signora, volevo dirle che non torno: ho deciso di restare nel mio paese». Inizia con una decina di parole, l'incubo che accomuna moltissime famiglie italiane.

La badante che non rientra dalle ferie getta nel panico migliaia di persone, che durante l'estate avevano trovato soluzioni tampone al problema di dover lasciare genitori e nonni non autosufficienti per andare in vacanza.

I «nonnetti» più fortunati si sono ritrovati dentro casa a luglio e agosto una sconosciuta o sconosciuto, ma comunque una sostituta scelta da chi era in procinto di andar via o una «persona fidata», magari amica di amici. Chi poteva, poi, ha pagato il soggiorno di qualche settimana per mandare i propri cari.

In una casa-vacanza per terza età o in una struttura assistenziale, qualora non fossero più autosufficienti. E tutti gli altri nonni italiani? Questa estate l'hanno passata in solitudine, una malattia che fa più male di quelle che intaccano il fisico. Anche i più fortunati, ai quali le famiglie hanno trovato sistemazioni migliori e compagnia, finiscono però nello sconforto quando scoprono che a fine estate la badante, con cui spesso si crea un rapporto d'affetto e fiducia, non torna. Così iniziano infiniti e interminabili colloqui alla ricerca di quella perla rara a cui affidare nonni e genitori anziani. Oggi nel Belpaese le badanti sono 1.005.000, di cui il 60 per cento non in regola, quindi 43 badanti ogni 100 abitanti over 75 non autosufficienti, per una spesa di 8 miliardi sostenuta dalle famiglie. A volte questa figura professionale è costretta anche a sopperire all'assistenza sanitaria territoriale carente in Italia. Vista l'incidenza numerica della popolazione anziana, è innegabile che le famiglie si trovano spesso in difficoltà a dover gestire un carico pesante, perché molti over 75 sono malati cronici, che necessitano di cure costanti da parte di personale specializzato. Abbiamo la popolazione più vecchia d'Europa e da noi la popolazione over 75 è passata dal 3,3 del 1961 all'11,7 per cento nel 2019. In cifre significa che al primo gennaio 2019 i soggetti che avevano compiuto i 75 anni di età erano 7.058.755, l'11,7 per cento della popolazione, di cui il 60 per cento donne. Di questi 1,2 milioni ha dichiarato di non poter contare su un aiuto adeguato alle proprie necessità. Gli over 90, invece, in base ai dati Istat del 2021 raggiungono quota 804.752. Inoltre dei senior lo 0,9 per cento ha figli lontani o all'estero e l'8,9 per cento vive solo e senza figli. I più fortunati, invece, abitano con parenti, ma hanno comunque bisogno di chi si prenda cura di loro quando al mattino gli altri vanno al lavoro.

Ma l'indagine Istat ha evidenziato che purtroppo sono circa 100mila gli anziani, soli o con familiari anziani, che oltre a non avere aiuti adeguati sono poveri e pertanto non hanno possibilità di accedere a servizi a pagamento per avere assistenza. Se è vero che gli over 75 sono una risorsa innegabile per l'amore e il supporto che sanno dare a figli e nipoti, oltre a rappresentare un legame profondo con storia e tradizioni, lo è altrettanto che sono vittime innegabili di un sistema sanitario e assistenziale che funziona a singhiozzo. Migliorare la loro qualità di vita è un obbligo: il 22 per cento del totale ha limitazioni motorie, il 42,3 degli over 75 diverse patologie croniche che limitano le normali attività quotidiane, mentre un'altra fetta è affetta da demenza senile e Alzheimer. I non autosufficienti sono oggi 2.909.000, di cui 37 per cento preso in carico dal Ssn, il 14 per cento dai servizi sociali, mentre il 49 per cento non viene preso in carico e viene seguito solo da badanti più o meno formate. Quando queste non si trovano o non tornano dopo l'estate, il sistema va in crisi. «In molte grandi città gli anziani vivono in condomini, spesso nell'anonimato» aveva raccontato Giancarlo Penza, uno dei responsabili del servizio anziani della Comunità di Sant'Egidio a inizio estate, chiedendo «un occhio amico» affinché ogni cittadino monitorasse i vicini di casa anziani. E in molti hanno raccolto l'appello. Lo stesso hanno fatto le Forze dell'ordine presenti sul territorio, predisponendo servizi mirati per l'estate, perché spesso il «112» viene visto dai «nonni l'Italia» come un'ancora di salvezza. Ma questo non basta. È fondamentale sostenere questa fascia di popolazione con un'assistenza domiciliare e una rete efficiente di servizi territoriali, che non presenti i buchi attuali, per migliorare la loro qualità di vita e cercare di limitare il numero di accessi in ospedale, unica soluzione a oggi per quanti non sono seguiti sistematicamente a domicilio dal Sistema sanitario nazionale. È un triste ritornello che i ricoveri non appropriati - in Italia lo sono uno su tre - facciano lievitare la spesa pubblica per l'assistenza agli anziani non autosufficienti, che nel 2021 si è attestata a 21,1 miliardi di euro, con un costo medio per ricovero di 5.700 euro (700 euro per una durata media di 8 giorni).

Una robusta e articolata rete di servizi territoriali, che potrebbe concretizzarsi grazie alle novità introdotte dal Governo Meloni, consentirebbe un risparmio di 4,5 miliardi, se si considera che si registrano annualmente 70 milioni di accessi impropri al pronto soccorso e che il risparmio su questa voce sarebbe di 1,87 miliardi, ai quali se ne aggiungerebbero 2,88 per la riduzione delle giornate di degenza, in base al valore fissato dal sistema dei Drg. Ma c'è di più. Oggi le persone anziane restano «parcheggiate» in ospedale a causa dell'impossibilità di accedere a luoghi di cura più appropriati: 22 pazienti su 100 non vengono dimessi dai nosocomi perché non hanno familiari o persone in grado di dar loro supporto a casa.

La creazione negli anni Novanta delle Rsa, a fronte di un investimento che paragonato a oggi sarebbe di 15 miliardi di euro, fornisce risposte inadeguate, perché nel 2023 è lievitato il numero di ultra 85enni affetti da più patologie in contemporanea e ci sono 19 posti nelle Rsa per mille abitanti. È palese che queste rappresentano una risposta parziale a una limitata fetta di popolazione con fragilità assoluta. Al contrario, potrebbero fungere invece da supporto alla sanità territoriale in termini di promozione dei servizi diurni e contribuire a rafforzare quelli domiciliari. Numeri a parte, serve oggi più che mai una rete solida capace di integrare soggetti accreditati, medici di base e assistenza sul territorio. C'è da sperare, a questo punto, che la legge 33 del 2023, la «Riforma in materia di politiche a favore delle persone anziane» realizzi questo miracolo e che i nonni italiani non siano più ostaggio di scarsa assistenza e solitudine.

Tiziana Paolocci

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