Letteratura

Quando alla mostra del cinema di Venezia Pier Paolo Pasolini fece un "sessantotto"

Le contraddizioni del regista-scrittore che scandalizzò il Lido con "Teorema"

Quando alla mostra del cinema di Venezia Pier Paolo Pasolini fece un "sessantotto"

È forse l'intellettuale più citato e meno letto d'Italia e, nel centenario della nascita, a Pier Paolo Pasolini sono stati dedicati diversi libri. Tra questi, è interessante l'angolatura scelta da Claudio Siniscalchi, non a caso grande esperto di cinema. Il suo saggio, Teorema sessantottino. Pier Paolo Pasolini alla XXIX Mostra del cinema di Venezia (Ardente Edizioni, con prefazione di Alessandro Gnocchi) racconta molto del Pasolini contraddittorio, attraverso la sua partecipazione, con il film Teorema, alla Mostra del Cinema di Venezia del 1968. Anno che, per ovvi motivi, fa subito venire in mente il «maggio radioso» che, in realtà, come ricorda l'ottimo Siniscalchi, nel 1968, fu un «febbraio radioso». Tutta colpa (o merito?) della settima arte, anche se qui, l'arte era quella del gioco del potere. L'allora ministro della cultura francese, André Malraux, aveva deciso di sollevare, dalla direzione della Cinémathèque, Henri Langlois, pioniere dell'arte del restauro e della conservazione delle pellicole. Malraux, additato come fascista, aveva sottovalutata la forza mediatica dell'avversario e soprattutto la forza dei cinefili. Di solito inerti, come contro la guerra d'Algeria, ma improvvisamente belligeranti per difendere Langlois. Al punto che, il 15 febbraio, la Nouvelle Vague scese in strada per manifestare e non finì bene. A Cannes, un gruppo di registi capitanato da Truffaut e Godard blocca la manifestazione. Ed è in quel clima che Venezia, nell'ultima settimana di agosto, ospita la XXIX edizione della Mostra d'arte cinematografica. A dirigerla era l'ex fascista e ora socialista Luigi Chiarini. Pasolini si presenta con lo scandaloso Teorema. Vorrebbe farsi capo del movimento studentesco, ma lo sconfessa prendendo le difese dei poliziotti che sono figli di poveri. «Figli di papà», contrapposti a «figli del popolo». I giovani gli si rivoltano contro. In un incontro a Ca' Foscari, in compagnia di Zavattini, viene bloccato da una bordata di fischi e urla. Lo invitano ad andarsene: «Vai a casa, vai a chiedere protezione ai poliziotti che hai chiamato figli del popolo». Una débâcle. Eppure, un piccolo trionfo lo ottiene. La giuria dell'OCIC (Office catholique internationale du cinéma) premia Teorema, scambiato, per equivoco, come un manifesto cattolico dei tempi nuovi. Come ricorda Siniscalchi: «Il riconoscimento non deve stupire, giacché Pasolini era stato adottato da un cattolicesimo animato da spirito antiborghese, affiorato dopo la stagione conciliare, e deflagrato con i cattolici del dissenso (perlopiù politicizzatosi a sinistra) e con la contestazione cattolica sessantottina (due realtà storicamente separate e non sovrapponibili)».

Un premio sorprendente che costringe Paolo VI a stigmatizzare film inammissibili, come Teorema, con il sostegno di certi cattolici che hanno paura di essere in ritardo nel momento delle idee. Insomma, un Pasolini che ha sempre diviso. A partire dal comunismo: «I comunisti gli ammazzarono un fratello. I comunisti lo cacciarono dal partito per indegnità morale (leggasi omosessualità). I comunisti guardarono la sua opera con sospetto, per non parlare della sua vita. Eppure, in uno degli ultimi scritti, Pasolini rinnovò il suo sostegno ai comunisti. Ma questo era il Pasolini pubblico.

Il Pasolini autentico è lo strenuo difensore dell'identità italiana, cattolica e tradizionalista», ricorda Siniscalchi.

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