Cultura e Spettacoli

Le regine bianche dell’America nera

L’ironia di Eudora Welty. Le microstorie di Flannery O’Connor. L’ottimismo che vince il dolore di Harper Lee. La serenità delle piccole cose di Sue Monk Kidd. Quattro interpreti dell’orgoglio e del disincanto sudista

È probabile che il nome di Marty Stuart dica poco ai nostri lettori. Eppure, dopo aver accompagnato per anni nelle vesti di mandolinista e chitarrista due leggende del country come Lester Flatt e Johnny Cash, Marty Stuart si è ritagliato uno spazio di tutto rispetto tra i grandi del country. Non male, per essere nato a Philadelphia (Mississippi), nel cuore del nerissimo e retrogrado Delta. Appassionato di fotografia, Stuart ha raccolto una serie di interessanti scatti di una vita on the road in un libro fotografico intitolato Pilgrims. Nell’introduzione ringrazia Eudora Welty per avergli fatto capire il patrimonio storico e un’epoca molto diversa del Mississippi. Non sappiamo se Stuart si riferisca all’opera letteraria della Welty o alle sue fotografie. Ma la differenza non è che una sfumatura.
Nata nel 1909 a Jackson, nel Mississippi, Eudora Welty iniziò a scrivere presto. E meno male che il caso ci mise lo zampino. Infatti, mentre si trovava a Parigi nel 1950, in un viaggio sovvenzionato dalla Fondazione Guggenheim, dimenticò la macchina fotografica sul metrò e decise, con gesto quasi profetico, di non ricomprarsela mai più. Insomma, uno di quei piccoli incidenti che cambiano la storia o, quanto meno, la cronaca di una biografia destinata ai posteri. Che il cantante country Marty Stuart, dunque, dichiari un debito artistico nei confronti delle fotografie piuttosto che delle immagini letterarie della Welty poco conta. L’importante è che Eudora Welty abbia scelto di mettere a frutto il suo talento descrittivo. Nota soprattutto per il romanzo del 1972 La figlia dell’ottimista (Fazi), che le valse il Premio Pulitzer, la Welty è un’autentica continuatrice della tradizione del racconto degli Stati Uniti del Sud.
Mele d’oro (Fazi) è una raccolta di racconti che, per la continuità di luoghi, personaggi e atmosfere, in un certo senso assume la forma del romanzo. Ambientate nella cittadina di Morgana, luogo immaginario e dalla dimensione onirica, a partire dal nome stesso, queste storie della Welty, introdotte da un breve ma illuminante contributo di Livia Manera, trasmettono al lettore i ritmi blandi e la serena accettazione della ineluttabilità della vita così tipici del Sud. Sembra di vederli, i luoghi e i personaggi immersi in un tempo che scorre placido come le acque del Mississippi. Non a caso, la Welty da quelle parti è un’istituzione quasi quanto William Faulkner e Robert Johnson. E dire che, sul piano culturale, Eudora Welty è figlia della Grande Depressione. Ma, nonostante frequenti viaggi e studi prestigiosi, il Mississippi rimase il mondo della scrittrice fino alla morte, avvenuta nel 2001 a Jackson.
Non devono sorprendere, pertanto, la delicatezza e il senso dell’umorismo che ne caratterizzarono l’intera esistenza, tanto che al medico che le chiese sul letto di morte se poteva fare qualcosa per lei, pare che abbia rivolto la serafica risposta: «No. Però grazie per avermi invitata alla festa». Un umorismo che deve essere nel DNA di quella regione, considerati i numerosi esempi a nostra disposizione.
Meno prolifica e meno felice della Welty è la biografia di Flannery O’Connor. Eppure anche la scrittrice di Savannah (Georgia) incarna perfettamente i valori del Sud degli Stati Uniti, umorismo compreso. Certo, un umorismo molto più sfumato e cupo di quello espresso con delicatezza dalla Welty. Nata nel 1925 e morta nel 1964, Flannery O’Connor viene universalmente considerata una delle massime penne del ’900 americano. Ma non sono tanto i romanzi Il cielo è dei violenti (Einaudi) e La saggezza nel sangue (Garzanti) quanto i racconti (Bompiani) ad assicurarle un posto di primo piano nell’olimpo dei narratori del Sud. I romanzi risentono fin troppo della sua ossessione religiosa, una maledizione molto sudista che però finisce per appesantire la leggerezza delle storie. Cattolica, inserita in un ambiente dominato dalle più disparate confessioni evangeliche, la O’Connor nei racconti riesce ad appropriarsi del passo strascinato del blues e a trasmettere con microstorie l’incedere della vita del Sud, un luogo letterario dove il grottesco sembra un tratto inevitabile del paesaggio umano e il paradosso l’unica modalità in grado di rappresentarlo.
Da questo punto di vista, la O’Connor e la Welty forniscono due interpretazioni complementari di un mondo che tuttora sente il peso, l’onta mai lavata della sconfitta nella Guerra Civile, con la conseguente accettazione di norme di vita indigeste. Ma dietro l’apparente disperazione dei personaggi della O’Connor e il fatalismo sereno di quelli della Welty, non è difficile scorgere l’ottimismo riposto nelle nuove generazioni, in un Sud immutabile che vuole cambiare e che, per il momento, non ci riesce.
Non è un caso che una delle storie più positive ce l’abbia offerta Harper Lee. Ancora una donna, ancora il Sud, ancora un mondo diviso tra neri e bianchi, tra giusto e sbagliato, un mondo che profuma di torta di mele appena sfornata, che si muove a tempo di blues. Il buio oltre la siepe (Feltrinelli) è il romanzo perfetto, una storia sul razzismo visto attraverso gli occhi disincantati di una bambina bianca. Un noir che non ha bisogno del delitto per incutere paura e far riflettere. Nata nel 1926 in Alabama, la Lee si assicurò un futuro di prosperità con questo romanzo e scrisse poco altro. Ma chi avrebbe potuto fare meglio di così, dato che questo libro viene reputato il miglior romanzo americano di sempre da scrittori del calibro di Jeffery Deaver e Joe R. Lansdale? Ciò che pervade le pagine è il classico ottimismo del Sud. Un ottimismo che nemmeno il perdurante senso di sconfitta riesce a scalfire. In fondo, «il Sud risorgerà» è lo slogan che spesso accompagna la bandiera del Dixie e che è divenuto una sorta di parola d’ordine di tutti i gruppi di rock sudista, Lynyrd Skynyrd e 38 Special in testa.
Un ottimismo decisamente meno barricadiero ma altrettanto convinto trasuda dalle pagine del romanzo di Sue Monk Kidd, una scrittrice del South Carolina. Di nuovo una donna, di nuovo il Sud, di nuovo una vicenda positiva. La vita segreta delle api (edito in Italia, come L’isola degli aironi bianchi, da Mondadori) è una storia classica, nel miglior senso della parola. Ambientata nel 1964, epoca di grandi contrasti razziali, ha per protagoniste Lily Owens, un’altra ragazzina bianca coraggiosa, e Rosaleen, una governante di colore piena di vita, vittima di una terribile violenza da parte di tre bianchi. Un romanzo che fa leva su un intreccio avvincente, ma il suo punto di forza sta proprio nel rapporto fra la ragazzina bianca e la famiglia della governante, dedita all’apicoltura. Una parabola sulla mancanza di affetto e la ricerca della serenità nelle piccole cose.

Ancora una volta, una storia di buoni sentimenti e spiritualità laica, frutto della profonda devozione dell’autrice quasi sessantenne.

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