Nuove frontiere

"La responsabilità sarà solo umana"

Floridi: «Siamo esploratori e il futuro dipende da come sapremo restare on life»

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«La responsabilità sarà solo umana»

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Non navighiamo solo in rete, ma anche verso un mondo nuovo. Un mondo che non è né completamente offline né online. Siamo dunque onlife, per usare un'espressione coniata da Luciano Floridi, professore di Scienze cognitive a Yale. Siamo sospesi tra due realtà che vogliono convivere, talvolta con fatica. E che si aiutano e si contrastano in uno strano paradosso.

Professor Floridi, quando si parla di intelligenza artificiale (AI) ci si trova spesso davanti o a grandi sostenitori o ad accaniti critici. Qual è la verità?

«Ci sono sia ottime opportunità sia grandi rischi, che però non sono presentati correttamente perché si va sempre a guardare gli estremi».

Proviamo a guardare verso il centro, allora

«I rischi seri ci sono se tecnologie molto potenti finiscono nelle mani di persone sbagliate, ma non hanno a che fare con scenari fantascientifici o con l'intelligenza artificiale che domina il mondo. Tutti i rischi che corriamo - oggi, domani e per sempre - sono umani. Lo vediamo con l'utilizzo dell'AI nella guerra a Gaza: se avviene un disastro è perché qualcuno ha preso la decisione sbagliata. Se l'AI viene usata male, la responsabilità è tutta e solo umana».

Quindi l'uomo avrà ancora una sua parte, nel bene o nel male?

«Sì, tutti i problemi che abbiamo sono di tre tipi: cattivo, eccessivo e sotto utilizzo della tecnologia. Il primo caso è quello di chi è malintenzionato, come i criminali. Il secondo si ha quando utilizziamo l'AI inutilmente e finiamo per avere un impatto negativo sull'ambiente e sulla società. Infine il terzo: non avendo regole etiche e legali, usiamo poco questa tecnologia, come nel caso della medicina».

Si può dire che l'intelligenza artificiale è uno strumento, quindi neutra?

«Non è una questione di neutralità, ma di tensione. L'AI è come una corda che non si muove non perché non la tira nessuno ma perché è tirata da entrambi i lati. Tutti la tirano da una parte e dall'altra: se una delle due forze prende il sopravvento, allora l'AI smette di essere in tensione e si sbilancia. Nel bene e nel male».

Fino a questo punto della conversazione, però, l'intelligenza artificiale sembra più negativa che positiva

«Dobbiamo mettere in guardia dall'eccessivo entusiasmo per le applicazioni immediate perché vendute come una panacea da chi produce AI. Il mondo del business è cauto perché vuole capire bene quali vantaggi vale la pena perseguire e quali arriveranno con dei costi enormi».

Per esempio?

«È chiaro che in un contesto in cui voglio migliorare l'efficienza dei sistemi, uno strumento simile è positivo. Ma è altrettanto vero che questo strumento arriva in una fase esplorativa: è un po' come essere i primi a testare un prodotto. C'è una temporalità che è legata alla competizione».

La preoccupazione è che viviamo esistenze sempre più online e sempre meno offline. Vite così non rischiano di essere tristi?

«Direi che sono vite più complicate. Tempo fa, ho coniato la parola onlife. Né online, né offline ma una forma ibrida di digitale e analogico, online e offline. L'esperienza onlife si va ampliando con profonde trasformazioni culturali che hanno a che fare con chi siamo e chi vogliamo essere. Quelle cose che ci fanno dire che la società è radicalmente cambiata rispetto a quella analogica di qualche decennio fa».

Come sarà la nostra vita?

«Di maggiore responsabilità. Potrebbe essere straordinaria o miserabile, come nel caso dei ragazzi che subiscono o gestiscono i social. Saranno fondamentali cultura e interazioni sociali, legislazione, buona formazione e responsabilità individuale: un po' come nel passato in cui si parlava della televisione come cattiva maestra, ma ci siamo salvati tutti».

Fare profezie è sempre un azzardo, ma come si immagina il mondo di domani?

«Rischia di essere in parte come Il mondo nuovo di Huxley, in cui l'intrattenimento, la pigrizia e la volontà di non fare la differenza saranno una sirena pericolosissima. E in parte come 1984 di Orwell. Ma questo ci dovrebbe rendere più responsabili: c'è una strada praticabile tra queste due posizioni.

Il passaggio è stretto e difficile, ma si possono evitare entrambe».

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