Cronaca locale

La Scalata

M usica contemporanea, che sfida. Anche in una Milano dove i concerti non mancano proprio, certi settori della cultura e di pubblico subiscono il richiamo e la fascinazione di un ulteriore salto. In avanti s’intende: è possibile? Nuove idee sull'eventuale rinascita della «Scalina», l’edizione bis del festival Mito stesso a conferma di una direzione felicemente imboccata l'anno scorso, libri bianchi che dipingono il capoluogo come centro di «peso». Ancora, la ripresa del dibattito sul pubblico capace o no di capire la nuova musica classica, ovvero le composizioni del Ventesimo e Ventunesimo secolo, in buona parte già «storia».
«Andiamo bene rispetto ad altre piazze nostrane, meno se confrontati alle principali metropoli europee. Ad Amsterdam, modello per certi versi ideale, ogni settimana danno opere di produzione recente e ci sono sette orchestre stabili». L’unisono degli addetti ai lavori è chiaro. Qualche luogo in più per la musica farebbe comodo. Una bottiglia affidata alle onde? Questa volta messaggio ricevuto. Da qualche tempo infatti si parla del rilancio della piccola Scala e c'è chi ripone le speranze nel sovrintendente del Piermarini, Stephane Lissner. Tra le ipotesi aperte, riguardo al luogo, c'è anche quella del teatro dell’Arte, vicino alla Triennale. Film del futuro: immaginate strutture ad hoc con l'acustica adatta ai suoni dell'avanguardia. E la mente va a modelli tipo il Theater an der Wien della capitale austriaca. Tempi? Non domani ma neanche le calende greche, e il traguardo potrebbe essere non troppo lontano.
«Sono andato alla Scalina molto tempo fa - ricorda Fabio Vacchi, compositore impegnato su diversi fronti (tra i quali un lavoro che verrà diretto nel 2009 da Chailly) - prima della storia che sappiamo, ovvero la chiusura. Farla ripartire? Non posso che dire “molto positivo!“». Spazi senza cartelloni adeguati: equazione impossibile. Sull’offerta è difficile, tra autori e direttori, scovare voci fuori dal coro. Così riassume il comun-pensiero Carlo Boccadoro, uno dei fondatori di Sentieri Selvaggi, ensemble al decimo anno e in sintonia con i mondi dei compositori americani Glass, Nyman e Lang: di sviluppi ce ne sono stati, «ma la situazione non è quella di Londra, Parigi e Berlino. Diciamo che i festival in certi casi suppliscono». Grazie a Milano Musica, Sentieri Selvaggi, Rondò e Musicamorfosi, Cinque giornate per la Nuova musica e Mito. E tra le righe l’esortazione all’indirizzo degli enti istituzionali a inserire novità nelle programmazioni.
Fotografia della musica contemporanea, scatti su una civiltà che ha bisogno di evolvere e di fondi. Per la prima volta censito dalla capitolina Cemat: dal libro bianco della federazione (455 pagine di notizie, schede, profili e foto) emerge che «a Milano ci sono nove delle 93 “realtà” registrate nel Paese. Dal Divertimento Ensemble all’Istituto di ricerca Irmus, dalla Fondazione Mm&T a Novurgia». Gruppi, poli di ricerca e luoghi didattici di livello, oguno con la sua proposta, ognuno con la sua nota dolente. «Si evince come la disaffezione dello Stato a questo fenomeno di creatività - scrive sul libro bianco Gisella Belgeri, presidente Cemat - abbia creato ostacoli...». In più, i luoghi comuni duri a morire, come la filastrocca «contemporanea-genere di nicchia-inascoltabile-vade retro». Ma le stagioni passano e le pagine dodecafoniche e seriali da un po’ hanno smesso di fare da regine: «Certe produzioni hanno causato fratture e mi riferisco al periodo degli anni Cinquanta - spiega Vacchi -. Penso che ora ci sia una Babele di linguaggi e che ognuno vada per sua strada...». Gli emergenti ma non solo «operano» per ricomporre quell’«antica frattura» tra musica e ascolto e per trovare linguaggi inediti. E il pubblico, questo sconosciuto? Dice Luca Francesconi, compositore e direttore della Biennale musica di Venezia: «Oggi c’è più preparazione, curiosità ma bisogna superare i vecchi schemi, tipo il palcoscenico da una parte e la gente dall’altra. Lo spettatore va lasciato libero di circolare come se si trovasse in una galleria d’arte».

Alla base di tutto sempre la qualità, sentenzia tra gli applausi il pianista Maurizio Pollini in tv: «Perché, ricordiamocelo, la qualità fa bene».

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