Letteratura

Se l'epica di una famiglia scrive la grande Storia

Alessandro Rivali rilegge un pezzo di Novecento attraverso l'avventura della dinastia Moncalvi

Se l'epica di una famiglia scrive la grande Storia

Rarissimamente leggendo un romanzo contemporaneo ho provato un senso di coinvolgimento trascinante come leggendo Il mio nome nel vento (Mondadori) di Alessandro Rivali. Il romanzo inizia e cattura il lettore con pagine di estrema potenza espressiva dedicate ai rapporti oscuri tra i lutti di famiglia e gli incubi premonitori, e alla descrizione del funerale di quella che in seguito il lettore conoscerà come una splendente protagonista della storia. E in forza di tale potenza espressiva le pagine, in sé dolorose, esprimono una vitalità dolce, terribile, coraggiosa, che soffierà per tutto il romanzo come un vento buono. La metafora del vento è centrale. La voce narrante la declina con una continuità musicale: il vento è libertà, come il mare, il vento è coraggioso, preannuncia le novità, è l'amore, è la felicità di chi si ama.

Augusto Moncalvi, detto Gutin, è colui che racconta le vicende di una famiglia ampia, avventurosa, tenace come quella dei Moncalvi, in cui è adombrata quella dell'autore. I Moncalvi sono «teste dure, con l'argento vivo nelle vene»: il capostipite Antonio deve fuggire dallo Stato Pontificio in quanto ostile al potere temporale dei Papi, e sceglie Genova, dove la famiglia si incardina, prosperando nei commerci e nelle attività marinare. Poi da Genova alte contrastate vicende portano la famiglia a Barcellona, ed è lì che troviamo Gutin, con la sorella Giulia, la sognatrice, il fratello Carlo, l'irrequieto, e il padre Attilio e la madre Giustina che gestiscono con successo «L'Italiana», un negozio di prodotti alimentari che arriva a contare diciotto garzoni. Attilio è salumiere e buon lettore, è lui che fa amare Pascoli al piccolo Gutin. La serenità borghese della famiglia Moncalvi verrà travolta dallo scoppio della guerra di Spagna. Rivali ricostruisce magistralmente, mettendo a frutto ampi studi e documentazioni, il clima della guerra civile, sospetti, crudeltà, efferatezze, tradimenti, saccheggi, e ricostruisce con dura, sintetica efficacia la battaglia per il dominio della città, battaglia che risale «come un bruco lento sulla Rambla». In questa fase, come anche in altre che verranno, l'opera di Rivali, che è molto di più di un romanzo storico, e molto più di un romanzo di famiglia, tocca toni epici, tolstoiani. Dopo la fuga precipitosa e difficile da Barcellona sul piroscafo italiano, sulla cui prua Gutin prova per la prima volta l'effetto liberatorio del vento, la scena del romanzo si sposta a Genova. È lì che la famiglia ritrova lo zio Ludovico, avventuriero, viveur, uno che inizia e chiude la sua giornata rivolgendo immancabilmente gli occhi al mare. Le pagine su Genova, scoperte dai ragazzi Moncalvi grazie alla guida vitale e generosa dello zio, sono bellissime, sia che parlino di farinata e focaccia, viste nella loro storia e nella consistenza dei loro sapori e profumi, sia che parlino della torre degli Embriaci e del cimitero monumentale di Staglieno, della tomba di Caterina Campodonico, popolana venditrice di ciambelle divenuta celebre grazie al suo monumento funerario. Quando poi la famiglia si sposta a Rovereto, in campagna vicino a Gavi, nella villa a tre piani biancheggiante sulla collina, il tono del romanzo da epico e avventuroso diventa elegiaco. Gutin scopre un mondo grazie al vecchio custode Mario, uno che ha sempre uno stuzzicadenti tra le labbra e conosce tutti gli alberi e gli animali del bosco. Impara a distinguere un pioppo da un frassino e da una quercia, i funghi commestibili da quelli velenosi con la loro bellezza enigmatica, diventa amico dell'oca Susanna, maschio nonostante il nome, e assiste all'epifania della lepre che salta nella luce della luna. Ma la Seconda guerra mondiale torna a invadere e a insanguinare la storia e le vite degli umani. La lotta tra i partigiani e i tedeschi è descritta senza un briciolo di retorica ideologica. Si sa chi sono i giusti, e lo zio Ludovico, il viveur, ora diventa sommessamente eroe, sceglie loro, sale in montagna con loro. Ma anche tra i tedeschi possono trovarsi dei buoni, come il medico militare Ernst, il cui sapere e la cui umanità conquista l'adolescente Augusto, che dialoga con lui tramite il latino, e finirà per scegliere gli studi di medicina nel ricordo di lui.

Grandeggia nel libro la figura di Giulia, la ragazza che tiene costantemente un diario di cui leggiamo stralci, e si infiamma per le storie d'amore. È lei la catalizzatrice delle memorie d'amore ricorrenti nel libro, lo zio che ricorda la bellissima attrice Margherita, interprete di Antigone e lettrice di Grabriele d'Annunzio, Attilio che ricorda la passione travolgente per la prima moglie Ada. Infine Giulia vive la sua storia tanto attesa con Ettore, e vede crescere quella di Augusto e Laura, tormentata da drammatiche difficoltà, eppure vissuta con commovente tenerezza. Da questa sintesi tra le tragedie della storia, i lutti e gli amori, i successi e i rovesci delle famiglie, tra l'impegno etico della vita e l'accettazione della morte come un allontanarsi «nella luce e nel vento», prende forza il romanzo di Alessandro Rivali, pieno di anima e di una pietas religiosa che riscatta da ogni male.

E si afferma come un romanzo nuovo, sorprendente, necessario, che solo un poeta poteva scrivere.

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