Serialità

The Crown 5, intrattenimento d’alto livello con qualche passo falso

La nuova stagione della serie ripercorre gli Anni 90 della Corona inglese, annus horribilis compreso, fino alla separazione dei principi di Galles. Alcuni episodi splendidi, altri sotto tono

The Crown 5, intrattenimento d’alto livello con qualche passo falso

La quinta stagione di The Crown conferma come la serie Netflix sia tra i migliori prodotti fruibili sulle piattaforme streaming, in grado di sedurre visivamente, di emozionare e di convincere.

Ciò non toglie sia comprensibile che in patria i nuovi episodi siano stati duramente stroncati dal pubblico: l’uscita a neanche due mesi dalla morte dell’amata sovrana deve essere sembrata ai sudditi non solo indelicata ma decisamente inopportuna.

Come avvenuto in precedenza, ogni due stagioni in “The Crown” viene sostituito il cast per esigenze di varia natura, specie anagrafiche. Ora Queen Elizabeth ha le sembianze della bravissima Imelda Staunton, mentre Jonathan Pryce è il nuovo Principe Filippo. Tra i debuttanti spicca per somiglianza Elizabeth Debicki nei panni di Lady Diana: la cura dell’attrice nel ricreare le movenze, la testa inclinata, gli sguardi e la postura della principessa è eccezionale. Pessima invece la scelta di Dominic West, lontanissimo dal poter essere un credibile Carlo.

Dei dieci capitoli di circa un’ora, incentrati sui difficili anni novanta della casata dei Windsor, alcuni sono bellissimi, come quello dedicato all'ascesa di Mohamed Al-Fayed, altri invece lasciano il tempo che trovano, come quello dedicato al rapporto con Boris Yeltsin e i Romanov.

Ci sono ricostruzioni geopolitiche relative al crollo dell’Unione sovietica e al trasferimento della sovranità di Hong Kong ma non sono il focus della stagione, che verte invece sul privato dei regnanti inglesi e sugli scandali pubblici che ne sono scaturiti.

“The Crown 5” ha la sua protagonista in una Diana sempre più isolata ed emarginata dalla famiglia reale, una donna che sente di non avere più niente da perdere e proprio per questo costituisce un pericolo. Oramai propensa a cercare la felicità e l’amore apertamente, senza più osservare la riservatezza imposta dalla corona. Ora che è un’adulta elegante, caparbia e combattiva, ha imparato a dissimulare le proprie fragilità per mezzo di un’ironia malinconica.

Non stupisce che le posizioni dei principi del Galles siano oramai distanti ed inconciliabili. Nessuno dei due ha più intenzione di fingere armonia di fronte ai sudditi e di sicuro non giova che i Media abbiano reso di dominio pubblico la frequentazione di Carlo e Camilla con l’inelegante “tampaxgate”, ovvero la pubblicazione di una intercettazione telefonica molto intima.

L’indecente voyerismo dell’epoca aveva già fatto un’altra vittima, a mezzo foto, ovvero una Sara Ferguson che porgeva l’alluce all’amante feticista. L’interesse spasmodico e maniacale da parte della stampa e la violenza mediatica in generale hanno in Diana il bersaglio prediletto, ma la tragica fine della principessa in fuga dai paparazzi non sarà visibile prima della sesta stagione, l’ultima in programma, che si protrarrà a raffigurare i primi anni del 2000.

Durante l’annus horribilis 1992 Elisabetta vede tre dei suoi quattro figli separarsi dai propri compagni, un fallimento che la investe nella triplice veste di madre, sovrana e capo della chiesa Anglicana. Provata oltretutto dall’incendio al Castello di Windsor, la regina vive un periodo in cui tutto sembra andare male. Da spettatori veniamo messi a conoscenza dell’interesse di Filippo per Penny Romsey, la moglie del suo figlioccio, delle recriminazioni della principessa Anna e di furtive ambizioni al trono da parte di Carlo. L’esistenza stessa della monarchia è messa in discussione dal malumore del popolo, insofferente più che mai, a causa della recessione, nei confronti dei costi della casa reale.

Ancora una volta la tesi della serie è che a rendere i Windsor aridi e privi di empatia sia l’essere esponenti di un sistema immobile, fondato sul potere delle apparenze e deciso a distruggere chi non sia in grado di reprimere emozioni e sentimenti. Non a caso il piccolo William, interpretato da Senan West, figlio tredicenne di Dominic West, appare molto legato alla nonna paterna ma anche smarrito e turbato per la difficile situazione famigliare: si sente sospeso tra i valori tradizionali e la volontà di proteggere la sovversiva madre.

La frattura insanabile di quest'ultima con la famiglia reale diventa definitiva con l’intervista rilasciata nel 1995 al giornalista pakistano Martin Beshir. C'è posto anche per ricordare la nascita della storia d'amore con il chirurgo Hasnat Khan, già ritratta nel pessimo film con Naomi Watts del 2013.

Sontuosa e tutto sommato rispettosa nel mostrare le debolezze esseri umani imperfetti, la quinta stagione di “The Crown” racconta più di ogni cosa l’idea di matrimonio reale, che perde sempre più sacralità proprio come l’istituzione monarchica. I momenti iconici della storia del ventesimo secolo sono qui pochi e di sfondo: la narrazione, man mano che si avvicina al presente, assume le sfumature di una pruriginosa soap opera anziché del racconto solenne goduto in passato.

Cambiano gli interpreti, mutano le tematiche ma l’insieme resta interessante. Che “The Crown” continui a essere coinvolgente è una vera magia, se si pensa a quanto verta su eventi oltremodo noti.

Anche quando un episodio è meno riuscito, si resta ipnotizzati dalla visione: stiamo pur sempre sbirciando il dietro le quinte della grande Storia, in cui sono spesso i moti del cuore di una manciata di individui a fare la differenza.

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