Serialità

Il dramma della dipendenza da oppiacei nella storia (vera) di Painkiller

Un farmaco che ha causato più di 100mila morti. La serie tv racconta senza sconti uno dei casi di malasanità che più hanno travolto l'America nel corso degli ultimi 20 anni

Il dramma della dipendenza da oppiacei nella storia (vera) di Painkiller
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Di recente abbiamo visto come in tv c’è un proliferare di serie in cui si romanzano fatti realmente accaduti, con l’intenzione di accendere i riflettori su tutti i problemi che attanagliano la nostra contemporaneità. Un espediente tutto nuovo – più o meno – per cercare di raccontare il mondo che ci circonda attraverso storie vere e di grande impatto mediatico. E in giro ci sono tante storie di questo genere, ma nessuna ha un lieto fine. Come quella che è stata scelta da Netflix per denunciare il malcostume delle big pharma negli Stati Uniti nella miniserie di Painkiller, in streaming dal 10 agosto. Un serie che è un meta documentario, che miscela la cronaca alla pura e semplice narrazione a episodi, puntando il dito su quello che è successo tra il 1995 e 2017 con l’OxyContin, un antidolorifico a base di eroina messo a punto dalla Purdue Pharma, che nel tempo ha provocato la morte di circa 300mila persone negli Stati Uniti. Doveva essere un farmaco per alleviare il dolore e, invece, spinti da una casa farmaceutica in particolare (e dal suo machiavellico direttore) è stato prescritto dalla maggior parte dei medici e negli ambulatori, diventato di rapida diffusione. Doveva essere un semplice antidolorifico ma ha causato la morte di moltissime persone per overdose.

Sei gli episodi per una fotografia vivida e crudele dell’America di ieri e di oggi. Di così grande impatto per il tema trattato che, nella settimana di ferragosto, Painkiller è balzata alla numero uno delle serie più viste di Netflix. Un successo molto inaspettato, dato che non è il primo romanzo televisivo che affronta la dipendenza da farmaci, eppure lo show di Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue, ispirato tra l’altro a un omonimo libro-inchiesta, riesce a farsi spazio nel panorama delle serie tv di genere, portando a galla una storia vera e sincera che fa pensare e discutere, facendo intuire quanto è marcio anche il mondo delle case farmaceutiche.

Il caso del farmaco-killer

Anche se la serie si sofferma su un fatto avvenuto (o quanto meno che ha avuto inizio) più di venti anni fa, la vicenda prende le fila in tempi più moderni. Tutto ha inizio quando l’investigatrice Edie Flowers, specializzata in truffe mediche, viene contattata nell’ambito di una nuova inchiesta contro la Purdue Pharma. Lei per prima ha fiutato la pericolosità del farmaco, e nonostante lo scetticismo iniziale, racconta le fasi salienti sia della casa farmaceutica che la nascita del farmaco stesso. Soffermandosi, in particolare, nel momento in cui lei scoperto della diffusione del farmaco OxyContin, e come si è rivelato essere un oppioide capace di generare forte dipendenza nei pazienti. Si torna così indietro nel tempo, da quando la famiglia Sackler, proprietaria della Purdue Pharma, dopo la morte del patriarca, cerca un nuovo farmaco da lanciare nel mercato e che, soprattutto, possa raggiungere i vertici delle vendite. Si sceglie di utilizzare una sorta di ossicodone ma più efficace. Questo perché, in America, è un farmaco molto facile da trovare. Nasce così l’OxyContin che, di fatto, è un potente antidolorifico capace di tenere a bada anche i dolori più forti. Scala le classifiche dei medicinali più venduti diventato molto richiesto, ma qualcosa non torna. Dopo un’attenta analisi si nota come il farmaco provoca forti dipendenze da chi ne fa uso quasi quotidiano, generando - nell’arco ben di vent’anni - una vera e propria epidemia di oppiacei con circa 200mila vittime e un aumento dei casi di micro-criminalità causati da chi soffre di dipendenza.

Un racconto teso e spiazzante

In America è stato definito uno dei casi più agghiaccianti di mala-sanità. Ed è stato veramente così. Fin dal primo episodio di Painkiller, lo spettatore viene travolto da una storia di rara crudeltà e da un racconto che scava a fondo in un caso di cronaca giudiziaria senza vinti né vincitori. Gettarsi in una battaglia legale con pochi dati alla mano e con poche denunce da parte delle vittime non è facile, ma uno studio di avvocati crede che sia arrivato il momento di giocarsi il tutto per tutto pur di scoperchiare il vaso di Pandora. La scelta, poi, di affidare a una sola persona la narrazione gli avvenimenti più salienti dello scandalo è stato fondamentale, per far capire le ragioni che hanno spinto una casa farmaceutica a mettere sul mercato una medica che, di fatto, non calmava il dolore ma ne acuiva gli effetti. E nel corso degli episodi, invece di trovare una risposta al problema, il pubblico si trova di fronte a altre domande che restano insolute. Come se la giustizia non potesse far nulla per fermare queste atrocità.

Una miniserie che funziona

Nonostante il tema molto particolare e lo stile di raccontare una storia che riflette su un problema caldo nell’opinione pubblica, la serie di Netflix non cade vittima in scelte narrative poco incisive. Anzi, funziona nella sua totalità. Painkiller, oltre a raccontare la storia vera di un’epidemia, alza il velo sul nostro passato e mostra i meccanismi che ci sono dietro le case farmaceutiche, sia nel creare il farmaco stesso che nel metterlo sul commercio. Un racconto che apre una piaga mai del tutto risanata sul rapporto dell’uomo con la medicina, a volte ancora guardata con diffidenza.

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Dietro la fiction cosa è successo in America negli anni ‘90

La serie tv non fa altro che prendere spunto dal libro Pain Killer: L'impero dell'inganno e la grande epidemia americana di oppiacei di Barry Meier e dall'articolo, pubblicato sul New Yorker, scritto da Patrik Keefe, intitolato The Family That Built an Empire of Pain. Dai critici, sia il libro che l’articolo, sono stati descritti come "un affascinante quanto doloroso racconto di cosa accade quando i potenti sfruttano le debolezze umane per fare soldi a costo, perfino, di uccidere persone". La storia dell'OxyContin non è poi così recente. Ha origine nel 1916 quando, nell'Università di Francoforte, Martin Freund ed Edmund Speyer sintetizzarono l'ossicodone per la prima volta. Quello che pensavano i due farmacisti era di aver trovato una medicina a rilascio prolungato che potesse avere un effetto analgesico al pari della morfina, ma con un minore rischio di dipendenza. Ciò che è stato fatto in tempi più recenti è stato ben diverso, invece. L'OxyContin, in media, ha causato la morte di circa mezzo milione solo negli Stati Uniti dalla fine degli anni '90 fino al 2019. Dal 2020 al 2021, sempre degli Stati Uniti, sono state contate più 100mila vittime per overdose da oppiacei.

Nonostante una diminuzione consistente delle prescrizioni negli ultimi 15 anni, continua a preoccupare gli esperti e sarebbe andata peggiorando con l'arrivo del Covid-19.

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