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Il sonno della ragione genera Goya

Settanta opere del pittore spagnolo capace di spiegare perfino gli orrori del presente

Il sonno della ragione genera Goya

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Il sonno della ragione genera Goya

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Delle settanta opere firmate da Francisco José de Goya y Lucientes ora esposte a Palazzo Reale di Milano l'autoritratto che chiude il percorso, datato 1815 e giunto in prestito dalla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid (con cui l'esposizione è stata concepita), è la chiave di volta per capire il senso della mostra Goya. La ribellione della ragione (fino al 3 marzo, prodotta da Palazzo Reale e 24Ore Cultura).

L'artista spagnolo (1746-1828) si ritrae a quasi settant'anni: ha perso da poco la moglie Josefa e sei dei suoi sette figli, ha toccato sulla propria pelle la tragedia della guerra civile. Eppure, eccolo comparire con quel mezzo sorriso, vestito di sobria eleganza.

La vita gli ha tolto tutto, ma a lui resta la pittura, la luce alla Rembrandt e quel nero che sembra venire dall'altro mondo. Goya si ritrae come un sopravvissuto, l'ottimismo della volontà su tela. È profondamente diverso da quello dei due autoritratti da damerino che invece aprono l'esposizione: qui il giovane Goya, deciso a diventare un buon pittore e a ottenere le migliori commissioni, si riprende in abiti alla moda, ritto davanti al cavalletto.

Questa mostra a Palazzo Reale non è fatta di capolavori, ma ha il merito di raccontare come un pittore tutto sommato accademico, narcisista e affascinato dal bel mondo sia diventato occhio e voce critica, a tratti persino disincantata e tagliente, contro i mali e i vizi del suo tempo. Per dirla con le parole di Victor Nieto Alcaide, curatore della mostra e studioso di lungo corso del maestro spagnolo, «Goya è sempre attuale perché un artista vero, originale, un ribelle». Lo comprendiamo nel corso delle sette sezioni che scandiscono un'esposizione il cui allestimento è firmato da Fabio Novembre con uno di quegli interventi (poche opere per sala, pannelli a spigolo con gigantografie che riproducono dettagli delle tele, un itinerario che si sviluppa dalle prime sale molto luminose alle ultime quasi buie) che o si odia o si ama (a noi ha convinto). Incontriamo così un Goya giocoso in cui le gustose scenette di genere dedicate ai bambini lasciano già intendere lo sguardo che verrà (sugli umili, i reietti) nelle acqueforti.

In questo primo Goya troviamo in realtà due distinte modalità espressive: ci sono le commissioni importanti, come i ritratti super conformisti di Carlo IV e di Maria Luisa di Borbone che valsero all'artista ampia fama e quattromila reales de vellòn e ci sono i disegni fatti per sé, per sperimentare e sorprendere, per dimostrare al mondo la propria indipendenza e valore.

Il pittore colorista che osserviamo nelle prime quattro sale della mostra si trasforma presto in un disegnatore sempre più ossessionato dalla libertà di espressione, capace di immortalare gli abissi della malattia mentale (che conosceva bene perché frequentava il manicomio di Saragozza, dove aveva dei parenti ricoverati) e ancor più diffusamente l'orrore della guerra, cui la mostra di Palazzo Reale dedica una corposa e doverosa sezione. Nella parte finale del percorso ritroviamo il Goya che meglio conosciamo, quello che il 6 febbraio del 1799 diede alle stampe la Collecciòn de estampas de asuntos caprichosos inventados y grabados al aguafuerte, composta da un'ottantina di stampe a tema satirico e critico, pensate per un pubblico complice e arguto.

Qui l'esposizione milanese si riscatta: sono infatti esposte, per la prima volta dopo il recente restauro, le delicate matrici in rame di alcune delle più celebri incisioni in prestito dall'Istituto di Calcografia della Real Academia di Spagna. C'è anche la matrice e l'incisione dell'iconico Caprichos 43, Il sonno della ragione genera mostri, in cui Goya disegna sé stesso mentre dorme appoggiato a un tavolo, attorniato da gufi e pipistrelli.

Davanti agli orrori del presente, la mente si ribella rifugiandosi nel sogno e in questa magnifica contraddizione tra ragione e sentimento non possiamo che ammirare, ancora una volta e senza annoiarci, il talento di Goya.

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