Cultura e Spettacoli

"Costretti" a parlare di musica e canzoni

Più che il Festival della rinascita sarà il Festival del ritorno. Alle origini. Senza il gioioso e giocoso carrozzone di scandaletti e polemichine che da decenni si porta dietro, Sanremo stavolta sarà più concentrato sulle canzoni che su tutto il resto

"Costretti" a parlare di musica e canzoni

Più che il Festival della rinascita sarà il Festival del ritorno. Alle origini. Senza il gioioso e giocoso carrozzone di scandaletti e polemichine che da decenni si porta dietro, Sanremo stavolta sarà più concentrato sulle canzoni che su tutto il resto. Un effetto del Covid e dello stravolgimento di regole e vita che tragicamente si porta dietro. In qualche modo è un ritorno (obbligato) al passato ultra remoto, quando gli ospiti internazionali erano rarissimi o addirittura non c'erano e la ciacola gossipara si fermava ai cantanti e, al massimo, andava poco più in là. Forse per questo sono stati aumentati i concorrenti in gara (ora 26, praticamente un battaglione), molti di loro sono assolute novità per il pubblico festivaliero (ad esempio La Rappresentante di Lista o Random) e non si parla di mega popstar straniere in arrivo a raccogliere titoli e flash. Insomma Sanremo è pronto a essere, volenti o nolenti, il Festival della Canzone Italiana. Finalmente.

Ovvio ci sarà l'inevitabile glamour delle coconduttrici (Ornella Vanoni compresa...). I guizzi di Fiorello e di altri ospiti saranno protagonisti e ci mancherebbe. Ma nelle cinque ore di ciascuna serata i riflettori dell'Ariston saranno per forza più focalizzati sui cantanti. I social, che sono un volano ormai indispensabile anche per Sanremo, parleranno più di canzoni che di altro. E le canzoni, forse, parleranno più di noi e della realtà nella quale ci ritroviamo. Ha ragione il direttore di Raiuno, Coletta, quando dice che «saltare Sanremo a piè pari voleva dire aumentare il senso di disorientamento».

Le canzoni di questa edizione sono quasi obbligate a essere «consolatorie» in senso drammaturgico, a prescindere dal loro argomento e dalla metrica che le accompagna. Non parleranno di Covid, ma ne racconteranno giocoforza gli effetti, anche solo spirituali o sentimentali. Forse anche Achille Lauro, nei cinque «quadri» che ha preparato, diventerà specchio di ciò che stiamo attraversando. E poi, diciamolo, sarà probabilmente il primo Festival dell'era Draghi, il premier (incaricato) senza social, l'uomo del fare più che del commentare. E all'Ariston va sempre in scena la rappresentazione dell'italianità, il copione di come si vestirà il nostro costume nel futuro prossimo venturo. In poche parole, dopo decenni di annunci disattesi («Rimetteremo la musica al centro»), la musica si ritrova al centro per forza.

E non è detto che sia un peccato.

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