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«Guardate Mr Trumbo cacciato da Hollywood perché troppo libero»

L'attore, diventato famoso per «Breaking Bad», porta al cinema la storia dello sceneggiatore finito nella lista nera del maccartismo

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Occorre un'occasione per avere la forza di aprire il cassetto dei propri sogni a Hollywood. A Bryan Cranston, quell'occasione è stata regalata dal successo di Breaking Bad. Dopo quella fortunata serie televisiva, che lo vedeva protagonista nei panni di un insegnante di chimica diventato produttore di droga, l'attore è riuscito a realizzare un film a cui stava puntando da anni. Ora, con La vera storia di Dalton Trumbo, nelle sale in Italia dal prossimo 11 febbraio, Cranston rischia di vincere un Oscar. È, infatti, fra i cinque nominati nella categoria migliore attore protagonista.Il film, diretto da Jay Roach, il regista di Ti presento i miei, racconta la storia di Dalton Trumbo, sceneggiatore americano di successo finito nella lista nera degli intoccabili ai tempi del maccartismo. Condannato a 11 mesi di carcere per essersi rifiutato di testimoniare davanti alla Commissione per le attività anti-americane e quindi allontanato dalla Hollywood che conta, Trumbo continuò a scrivere sotto falso nome. Finì per vincere due Oscar, per Vacanze Romane e La più grande corrida, ma le statuette gli furono riconosciute solo in un secondo tempo, perché all'epoca, quell'epoca buia della storia americana, la firma sul copione non poteva essere la sua.

Signor Cranston, Mr Trumbo era un comunista?

«S'iscrisse al partito comunista americano ma in realtà non lo era. Era un idealista. Per lui era fondamentale avere libertà d'espressione. Famosa è la frase che disse a John Wayne: Abbiamo entrambi il diritto di essere in torto. Amava essere ricco però provava empatia per la gente che non aveva denaro, voleva aiutarla. Senz'altro non era attaccato al denaro come tanti ricchi di oggi. Gli piaceva, ma come ricco faceva pena. Non sapeva come trattarli i soldi, comprava cose, un ranch, fece costruire un lago artificiale, aveva grandi idee ma non era metodico. Non sapeva mettere da parte nulla per i giorni difficili».

Però era bravo a scrivere.

«Talmente bravo da riuscire a risollevarsi, nonostante tutto, e a non portare rancore. Questo è un film sull'accettazione delle opinioni degli altri, anche se non sono necessariamente le nostre. Qualsiasi cosa sia, puoi non essere d'accordo ma è bene lasciare che quell'opinione esista e abbia voce».

Un principio che Trumbo ha pagato caro.

«Non solo lui ma tutta la sua famiglia. Posizioni come la sua, allora, creavano il vuoto intorno. Non avevano effetto solo sul tuo lavoro ma anche sulle relazioni interpersonali, sulle amicizie, sui tuoi cari, sul tuo ambiente. Il giardino di casa vandalizzato, i figli denigrati, anche picchiati a scuola. Erano i figli del comunista, erano paria».

Le figlie di Trumbo sono venute a farle visita sul set.

«Non so mai come comportarmi quando incontro un membro della famiglia della persona che interpreto, non so mai cosa dire, ma se mi riesce di stabilire una connessione allora tutto diventa facile e aiuta molto, io divento una spugna».

Ci teneva davvero tanto a portare alla luce questa storia...

Sì, credo molto in questo film, vorrei che lo vedessero tutti, che ci credessero tutti. Non è un grande film ma è un film importante. Ed è successo tutto molto semplicemente, alla fine, facile come parlarne adesso».

Ma prima ci voleva una chiave di volta, nel suo caso è stata la fama di Breaking Bad.

«C'è un detto che dice fai il fieno quando c'è il sole. Breaking Bad è stata la mia giornata di sole, ma con questo non voglio dire che tutte le mie soddisfazioni professionali siano arrivate dopo quella serie. A 26 anni ero molto felice perché ero diventato un attore professionista, che era l'unica cosa che volevo fare. C'è così tanta gente che non ci riesce, che non si mantiene facendo quello che ama fare. Io lavoravo - ho sempre lavorato - ma non ero famoso. Aveva i suoi vantaggi».

Non le piace essere riconosciuto?

«Devo ancora imparare ad avere a che fare con la fama, non sono molto a mio agio quando mi fermano per strada e così, quando non lavoro, ora sto più a casa ma mi mancano le chiacchiere spontanee con la gente, il parlare della vita.

All'aeroporto cerco di attaccare discorso con gli anziani, con loro ci sono meno possibilità che mi riconoscano».

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