Cultura e Spettacoli

L'esercito agguerrito degli esordienti italiani

Curiosità per la Golino dietro la telecamera e i corti fuori dagli schemi

Certo non è lungimirante prendere il festival di Cannes come cartina di tornasole dello stato del nostro cinema visto che in passato siamo rimasti più volte scottati dalla totale mancanza di film italiani in concorso. Però, ora che il maestoso e barocco film di Paolo Sorrentino La grande bellezza parte già favorito per il palmarès, possiamo anche rilassarci e guardare con un po' più di serenità agli altri lavori dei nostri registi. Perché tutto lascia intendere che la nostra pattuglia non passerà inosservata, anzi c'è pure il «rischio» di una bella figura. Come per l'esordio registico di Valeria Golino che con Miele è riuscita nell'intento di raccontare la realtà del suicido assistito senza incorrere in dogmatismi o in facili drammatizzazioni. La macchina da presa studia da vicino la psicologia della protagonista, interpretata da una camaleontica (femminile e mascolina insieme) Jasmine Trinca. Prodotto dalla stessa regista insieme all'amato Riccardo Scamarcio, Miele, selezionato nella sezione Un certain regard, ha in comune con tutti gli altri film di registi italiani il fatto di essere coprodotto con la Francia. Che in teoria è certamente un fattore positivo quando però non diventa l'unico modo per veder realizzato un proprio film. Così, stando alla burocrazia delle classificazioni produttive, ecco che Un château en Italie con Filippo Timi della nostra Valeria Bruni Tedeschi (peraltro l'unica regista in concorso) batte bandiera solo francese quando invece è un film profondamente legato al nostro paese perché è la storia, in gran parte autobiografica, di una grande famiglia borghese italiana che decide di trasferirsi in Francia durante gli anni di piombo.

Stesso discorso produttivo - esclusivamente francese - per due corti scelti tra 3500 film provenienti da 132 paesi nella sezione Cortometraggi (in giuria Nicoletta Braschi). Il primo, Ophelia di Annarita Zambrano, è incentrato su due bimbi di 12 e 9 anni tra le dune di una spiaggia assolata lontana da occhi indiscreti, mentre 37°4 S di Adriano Valerio è ambientato nell'isola di Tristan da Cunha, uno dei posti più sperduti dell'emisfero a metà strada fra Città del Capo e Rio de Janeiro. Ancora più internazionale, tra gli eventi speciali della selezione ufficiale, la produzione - statunitense-belga-italiana - di Stop the Pounding Heart del regista marchigiano Roberto Minervini, da una decina di anni trasferitosi negli States. Storia di un'adolescente che, insieme ai suoi undici fratelli e sorelle, viene educata nella stretta osservanza della Bibbia.

Anche Salvo, esordio dei palermitani Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, prodotto da Massimo Cristaldi e Fabrizio Mosca ha un'importante partecipazione francese. Tanto che, paradossalmente, ha già una distribuzione Oltralpe mentre fatica (è un eufemismo) a trovarla in Italia. Selezionato alla Semaine de la critique, Salvo è un «oggetto non identificato». Racconta di un killer di mafia (interpretato dal palestinese Saleh Bakri) con inedito realismo ma anche con suggestivi elementi «magici».

Una vera sorpresa.

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